
Green claims: concluso l’intervento di moral suasion nei confronti di produttori di auto elettriche
Il 9 ottobre 2023, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha concluso positivamente un'azione di moral suasion nei confronti di due aziende produttrici di veicoli elettrici. Queste aziende erano state richiamate a causa di affermazioni di sostenibilità ("green claims") potenzialmente ingannevoli per i consumatori. I "green claims" sono dichiarazioni che le aziende rilasciano sui propri prodotti o servizi per comunicarne l’impatto ambientale sostenibile. Se tali affermazioni sono accurate e verificabili, rientrano nella sfera del "green marketing", ossia la promozione trasparente di prodotti ecologici. Tuttavia, quando queste dichiarazioni risultano generiche, non verificabili o fuorvianti, si sfocia nel "greenwashing", una pratica in cui le aziende promuovono un’immagine sostenibile senza reali prove o impegni concreti.Secondo il Codice del Consumo, il greenwashing può costituire una pratica commerciale scorretta, in quanto inganna i consumatori con informazioni non veritiere o non supportate. Anche se a livello nazionale non esiste una norma specifica per i green claims, l'AGCM ha spesso considerato tali affermazioni abusive come pratiche scorrette, come accaduto in questo caso. A livello europeo, il tema è attualmente regolamentato dalla Direttiva UE 2024/825, che mira a responsabilizzare i consumatori durante la transizione verde, migliorando la loro protezione contro pratiche sleali. Questa direttiva, in vigore dal marzo 2024, dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il marzo 2026. Inoltre, è in discussione la Direttiva Green Claims, che richiederà maggiore trasparenza e veridicità nelle dichiarazioni ambientali delle aziende.Nel caso specifico, l'AGCM ha rilevato che sui siti web delle due aziende erano presenti affermazioni generiche come "100% sostenibile", "Zero emissioni" o "Impatto zero sull’ambiente". Queste dichiarazioni non specificavano chiaramente a quale fase del ciclo di vita del prodotto si riferissero (produzione, distribuzione, uso o smaltimento), né erano supportate da dati verificabili. L’Autorità ha sottolineato l’importanza di considerare anche le emissioni associate alla produzione delle batterie e all'uso dell’energia elettrica per la ricarica dei veicoli, che possono influire significativamente sull'impatto ambientale complessivo.Le due società, a seguito dell'intervento dell'AGCM, hanno rimosso le dichiarazioni ritenute non conformi agli standard di trasparenza e veridicità richiesti dalla normativa. Questo adeguamento sarà ancora più stringente quando entreranno in vigore le nuove disposizioni europee, che imporranno regole più severe per validare e verificare i green claims aziendali.Per saperne di più visita la pagina dedicata

PwC Italia firma l'AI Pact: impegno verso un'Intelligenza Artificiale responsabile e conforme
L’impegno è di portare avanti le proprie best practice in tema di AI literacy, AI governance e di mappatura degli Use cases aziendaliIl 26 settembre, PwC Italia ha aderito all'AI Pact, un'iniziativa promossa dalla Commissione Europea per favorire l'adozione delle migliori pratiche in ambito di intelligenza artificiale e aiutare le organizzazioni a prepararsi alla conformità con l'AI Act. Le aziende partecipanti all'AI Pact si sono ufficialmente impegnate a creare le condizioni necessarie per rispettare la futura normativa europea sull'AI, comunicando le azioni intraprese per adeguarsi ai requisiti previsti.PwC Italia ha deciso di aderire a questa iniziativa, confermando il proprio impegno nell'implementazione delle best practice in materia di alfabetizzazione sull'AI, governance e mappatura dei casi d'uso aziendali. Questo sottolinea il ruolo di PwC Italia come pioniere nell'adozione di un Framework di Responsible AI.Alessandro Caridi, Partner PwC Italia e PwC Digital Innovation Leader, spiega: “Con l'adesione all'AI Pact, rafforziamo il nostro impegno e lavoro nel campo dell'innovazione digitale. Siamo profondamente convinti che l'intelligenza artificiale sia una tecnologia trasformativa con numerosi effetti benefici e siamo desiderosi di intraprendere questo percorso per migliorare le nostre competenze e la nostra struttura digitale, ma anche per supportare i nostri clienti nella stessa direzione".

eReadiness 2024
Le vendite di auto elettriche in Europa sono crollate, con una diffusione inferiore del 35% rispetto alle stime. Francesco Papi: "l'adozione è inferiore del 50% rispetto alle previsioni", mettendo a rischio gli obiettivi UE sulle emissioni.Il calo delle vendite di auto elettriche in Europa è legato a diversi fattori, tra cui i prezzi elevati, la scarsa diffusione di colonnine di ricarica e la fine degli incentivi nei principali mercati. Questo ha portato a una diffusione delle auto elettriche inferiore del 35% rispetto alle stime di tre anni fa e addirittura del 50% in Italia. Nei primi otto mesi del 2024, la quota di mercato delle auto elettriche nell'Unione Europea è scesa dal 21,4% al 19,2%, mentre nel solo mese di agosto le vendite di auto elettriche sono crollate del 44%, con una riduzione della quota di mercato di un terzo, portandola al 14%."L'adozione delle vetture elettriche in Europa è inferiore del 50% rispetto alle stime fatte solo tre anni fa, e questo oggi rende irraggiungibili gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati dall’Ue", ha dichiarato Francesco Papi, Partner di Strategy& e Automotive leader di PwC Italia, che ha curato la 5ª edizione dello studio eReadiness.Questo calo delle vendite ha messo in luce le diverse velocità con cui i paesi europei stanno affrontando la transizione all'elettrico. I paesi nordici, come Norvegia, Svezia e Olanda, si confermano leader nell’e-mobility, con una quota di immatricolazioni elettriche compresa tra il 45% e il 90%. Francia e Germania, invece, pur registrando una penetrazione dell’elettrico tra il 18% e il 25%, hanno visto un rallentamento, con la Germania che ha subito un calo delle vendite di auto elettriche pure del 32%, parzialmente compensato dalla crescita delle ibride plug-in del 9,1%. L'Italia resta indietro, confermandosi fanalino di coda con una quota di mercato del 7,2% per le vetture elettriche ad agosto, in calo rispetto all'8,6% dello stesso periodo dell’anno precedente."La diffusione delle auto elettriche nei paesi nordici, con l’esempio virtuoso della Norvegia dove siamo sopra all’80%, indica che l’e-mobility può essere una scelta di massa e una tecnologia di larga scala. Ma l’Ue è in ritardo di almeno 8 anni rispetto alla Norvegia. Serve un cambio di velocità", ha aggiunto Papi.I tempi stringono e gli obiettivi dell’Ue di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 e del 100% entro il 2035, con il conseguente stop alla produzione di motori termici, rappresentano una sfida sempre più difficile per l’industria automotive europea. L'Acea ha persino chiesto all’Ue di rivedere i target di emissione. Papi ha inoltre affermato: "Se tutti i paesi europei adottassero la stessa velocità di adozione della Norvegia, gli obiettivi slitterebbero di un paio di anni, mentre alla velocità di oggi le zero emissioni non sarebbero ipotizzabili prima del 2040".L'indagine ha suddiviso i consumatori in tre gruppi: proprietari, interessati all'acquisto nei prossimi cinque anni (prospects) e scettici. Il profilo dei proprietari italiani mostra che "oltre il 90% si dichiara soddisfatto dell’acquisto", in particolare per i minori costi operativi e l'esperienza di guida, anche se il 70% ricarica l’auto a casa o in ufficio, con costi più bassi rispetto alle colonnine pubbliche. Tuttavia, per la prima volta, la percentuale di interessati all'acquisto è scesa dal 69% al 61%, mentre gli scettici sono aumentati dal 28% al 35%, segno di "maggiore incertezza dei consumatori e di un rallentamento dell’interesse verso l’elettrico".Infine, Papi ha sottolineato che "il segmento D, quello dei veicoli di grandi dimensioni, è l’unico in cui l’elettrico costa meno del termico", mentre i segmenti più compatti rischiano di essere dominati dai marchi cinesi. "La battaglia con la Cina si combatte sull’innovazione", ha concluso Papi.Per saperne di più visita la pagina dedicata

Private Equity e Venture Capital in Italia: Crescita sostenuta nel primo semestre 2024
I dati dell'analisi condotta da AIFI in collaborazione con PwC ItaliaNel primo semestre del 2024, il mercato italiano del private equity e venture capital ha mostrato una notevole dinamicità. La raccolta di capitali ha raggiunto 2,8 miliardi di euro, con un incremento del 43% rispetto allo stesso periodo del 2023. Gli investimenti complessivi hanno toccato 4,5 miliardi di euro, registrando un aumento del 40% nonostante un calo del 14% nel numero di operazioni, scese a 299 rispetto alle 346 dell'anno precedente. Tuttavia, si sono registrate 7 operazioni di grande portata, superiori a 150 milioni di euro, contro le 3 del primo semestre 2023.La raccolta è stata trainata da fondi pensione e casse di previdenza (24%), settore pubblico e fondi di fondi istituzionali (15%) e fondi sovrani (13%). Il 66% dei capitali raccolti proviene da investitori italiani. In termini di destinazione degli investimenti, il 43% dei capitali è stato destinato a operazioni di expansion e il 35% a buyout.Nel campo degli investimenti, il venture capital ha visto un calo del 17% nel numero di operazioni (193), ma con un aumento del 21% nel valore investito, che ha raggiunto i 494 milioni di euro, evidenziando operazioni di dimensioni maggiori. Il buyout ha visto una crescita del 14% in valore, toccando 2,5 miliardi di euro, ma il numero di operazioni è sceso dell'8%. L'expansion ha mostrato una forte crescita, con un aumento del 76% nel valore investito (370 milioni) e del 28% nel numero di operazioni (23). Anche gli investimenti in infrastrutture sono cresciuti significativamente (+146%), pur con un numero di operazioni dimezzato rispetto all'anno precedente.Dal punto di vista delle dimensioni delle aziende coinvolte, il 79% degli investimenti è stato destinato a imprese con fatturato inferiore ai 50 milioni di euro. Settorialmente, il comparto ICT ha rappresentato il 31% del totale delle operazioni, seguito dal settore medicale (17%) e dai beni e servizi industriali (16%).Geograficamente, il Nord Italia ha concentrato il 75% delle operazioni, con la Lombardia in testa (45% del totale), seguita da Friuli-Venezia Giulia e Lazio. Il Centro ha realizzato il 18% degli investimenti, mentre il Sud e le Isole hanno rappresentato solo il 7%.I disinvestimenti sono cresciuti del 30%, raggiungendo 70 operazioni per un valore di 2,36 miliardi di euro (+137% rispetto al 2023). La maggior parte dei disinvestimenti è stata realizzata tramite vendite a soggetti industriali, che hanno rappresentato il 47% delle operazioni e il 41% del valore disinvestito."Nel primo semestre 2024 si registra un rimbalzo dell'ammontare investito rispetto allo stesso periodo del 2023, con una riduzione del numero degli investimenti più che controbilanciata dall'incremento del ticket medio - ha commentato Francesco Giordano, Private Equity Leader di PwC Italia - Un segnale positivo è la crescita degli investimenti inziali, mentre i follow-on restano più o meno stabili in valore. Interessante è l'aumento dei disinvestimenti (+137% in termini di ammontare e +30% in numero) sicuramente un buon segnale per la salute del nostro mercato".

Regime IVA delle agenzie di viaggio per la rivendita dei soli biglietti aerei
La Corte UE include la rivendita di biglietti aerei nel regime IVA TOMS, ma la normativa italiana lo limita ai pacchetti turisticiLa Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha recentemente chiarito che la rivendita di biglietti aerei da parte delle agenzie di viaggio rientra nel regime IVA speciale per le agenzie di viaggio, noto come "TOMS" (Tour Operators' Margin Scheme), anche se questa rivendita non è accompagnata da servizi aggiuntivi diversi da quelli di informazione o consulenza offerti dall'agenzia (causa C-763/23). Il TOMS è regolato a livello europeo dalla direttiva 2006/112/CE e in Italia dall'art. 74-ter del d.P.R. n. 633/1972. Questo regime consente alle agenzie di viaggio di calcolare l'IVA solo sulla differenza tra i costi sostenuti e il corrispettivo ricevuto (il cosiddetto metodo "base da base"), senza possibilità di detrarre l'IVA sugli acquisti.Il caso esaminato riguardava un'agenzia di viaggio romena che acquistava biglietti per voli interni all'Unione Europea da compagnie aeree e li rivendeva a consumatori finali con un sovrapprezzo. Le autorità fiscali rumene avevano contestato l'applicazione del TOMS su queste operazioni, ma la Corte di Giustizia ha stabilito che la semplice messa a disposizione di biglietti aerei, anche senza ulteriori servizi accessori, rientra nel regime speciale. La Corte ha affermato che non è necessario che l'agenzia fornisca servizi aggiuntivi, purché offra anche servizi di informazione e consulenza.Questa decisione si inserisce in una serie di pronunce precedenti della Corte di Giustizia, che aveva già ampliato l'applicazione del TOMS a singoli servizi turistici, come nei casi Alpenchalets Resorts (C-553/17) e Van Ginkel Waddinxveen (C-163/91). In questi casi, era stato riconosciuto che il TOMS poteva essere applicato anche quando le agenzie fornivano solo alcuni servizi, senza che fosse necessaria una combinazione di essi.Tuttavia, in Italia la normativa nazionale è più restrittiva rispetto a quella europea. Il legislatore italiano ha limitato l'applicabilità del TOMS ai soli "pacchetti turistici", che devono includere almeno due tra i seguenti servizi: trasporto, alloggio e servizi turistici non accessori. Inoltre, la durata del pacchetto deve superare le 24 ore o comprendere almeno una notte. Questa impostazione è stata ribadita dall'Amministrazione Finanziaria nella Circolare n. 328/E/1997 e dalla Corte di Cassazione, che ha escluso l'applicazione del TOMS nel caso di prestazioni singole non combinate.Pertanto, le agenzie di viaggio italiane devono prestare particolare attenzione nell'applicare il regime TOMS ai servizi offerti, considerando le differenze tra il quadro giuridico dell'Unione Europea e quello nazionale. Nonostante l'ordinamento italiano non preveda esplicitamente l'applicabilità del TOMS a singoli servizi, il comma 5-bis dell’art. 74-ter d.P.R. n. 633/1972 estende l'applicazione del regime a singoli servizi turistici, a patto che siano stati acquisiti in precedenza dall'agenzia, come nel caso di contratti di allotment.Per saperne di più visita la pagina dedicata

Il cessionario ha l’onere di dimostrare la propria buona fede nel caso in cui l’Amministrazione Finanziaria contesti l’indebita fruizione del regime IVA del margine
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19555 del 16 luglio 2024, ha confermato un principio già affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 21105 del 12 settembre 2017, stabilendo che, in caso di contestazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria sull’indebita fruizione del regime IVA del margine, è il cessionario a dover dimostrare la propria buona fede. Tale regime, disciplinato dagli articoli 36-40 del D.L. 41/1995, è un regime IVA speciale e facoltativo, applicabile al commercio di beni mobili usati, oggetti d’arte, d’antiquariato e da collezione. L’IVA in questo caso si applica non sull’intero prezzo di vendita, ma solo sulla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di rivendita, incrementato di eventuali costi accessori. Il regime del margine è dunque vantaggioso per il contribuente, ma, proprio per la sua natura speciale, deve essere applicato in modo restrittivo e rigoroso.Nel caso esaminato, l’Amministrazione Finanziaria aveva notificato un avviso di accertamento nei confronti della società Alfa S.r.l., concessionaria di automobili, contestando la fittizietà di alcuni fornitori e l’incongruità del prezzo di alcune autovetture acquistate e rivendute, sostenendo l’inapplicabilità del regime del margine. In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale di La Spezia aveva accolto il ricorso di Alfa S.r.l., ma in appello la Commissione Tributaria Regionale della Liguria aveva confermato la non applicabilità del regime speciale, poiché le vetture erano state acquistate da società di noleggio o leasing. Tali società, utilizzando veicoli nuovi non soggetti ad imposta definitiva, escluderebbero la possibilità di applicare il regime del margine. Alfa S.r.l. ha quindi proposto ricorso per Cassazione contro questa decisione.Esaminando il caso, la Corte di Cassazione ha ribadito quanto già affermato dalle Sezioni Unite: se l’Amministrazione Finanziaria contesta la corretta applicazione del regime del margine in base a elementi oggettivi e specifici, il cessionario ha l’onere di dimostrare non solo la propria buona fede, ma anche di aver adottato un comportamento conforme alla massima diligenza esigibile da un operatore accorto. Tale diligenza implica, ad esempio, la verifica dei precedenti proprietari dei veicoli, attraverso i dati contenuti nella carta di circolazione e altri elementi facilmente reperibili. L’obiettivo è accertare se l’IVA sia già stata assolta a monte senza possibilità di detrazione, il che legittimerebbe l’applicazione del regime del margine.Se viene dimostrato che l'IVA è stata già pagata senza possibilità di detrazione, il regime del margine può essere applicato. Tuttavia, nel caso in cui emerga che i veicoli provengono da società di noleggio o leasing, che generalmente detrarre l'IVA sugli acquisti, si presume che il regime del margine non sia applicabile. Pertanto, in questi casi, il cessionario non può beneficiare del regime agevolato.In conclusione, l’ordinanza evidenzia l’importanza per le aziende di adottare una politica di gestione accurata nella selezione di fornitori e clienti, per evitare di essere coinvolte in operazioni fraudolente, come nel caso di frodi carosello o altre forme di evasione. Una gestione oculata dei fornitori e delle vendite diventa cruciale per evitare potenziali sanzioni, soprattutto in settori ad alto rischio, come il commercio di veicoli o appalti con alta intensità di manodopera.Per saperne di più visita la pagina dedicata

Andrea Toselli: Il Futuro del lavoro tra Intelligenza Artificiale e Formazione digitale continua
“L’elemento umano resta decisivo in ogni passo dello sviluppo tecnologico perché è l’unico a comprendere il significato delle operazioni che vengono esternalizzate nelle macchine, e perciò può dirigerle e orientarle”L'avvento dell'intelligenza artificiale ha dato il via a una trasformazione tecnologica di grande portata, che sta vivendo il suo momento di massima espansione. Questa fase di cambiamento sta ridefinendo il sistema produttivo, portando con sé una modifica del paradigma occupazionale. Perché questa innovazione diventi un motore di crescita e non un elemento di disuguaglianza sociale, è essenziale capire le caratteristiche del momento che stiamo vivendo. L'IA non ha creato nuovi settori produttivi, ma ha cambiato le dinamiche di quelli esistenti, concentrandosi più sulle competenze cognitive (come l'analisi e l'elaborazione) che sugli aspetti puramente tecnici. Questo significa che le macchine hanno sostituito le persone? Assolutamente no. L’elemento umano rimane fondamentale in ogni fase dello sviluppo tecnologico: solo l’essere umano è in grado di comprendere il significato delle operazioni delegate alle macchine, dirigendole e orientandole correttamente. In PwC usiamo l'espressione "Tech-Powered, Human-Led", ovvero tecnologia al servizio delle persone, ma guidata dall'intelligenza umana.In questo contesto, “governare la transizione” significa intervenire sul rapporto tra competenze e mondo del lavoro. È fondamentale valorizzare le "character skills", quelle competenze che favoriscono la creatività e il pensiero critico, e che non potranno mai essere sostituite da una macchina. Uno studio di Unioncamere del 2022 ha rilevato una crescente domanda di queste competenze, soprattutto per le posizioni manageriali e nei settori STEM. Promuovere queste abilità fin dalla scuola è cruciale, ed è proprio questo l'obiettivo della legge sulle competenze non cognitive, che verrà discussa domenica al Meeting di Rimini con il ministro Valditara, in un evento promosso dall’intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà, di cui PwC è partner tecnico.Tuttavia, valorizzare le competenze trasversali non è sufficiente. È indispensabile offrire ai lavoratori percorsi di formazione continua, per permettere loro di stare al passo con un mondo in costante e rapido cambiamento. Il calo della produttività del lavoro degli ultimi anni evidenzia l'urgenza di investire in una formazione che risponda con maggiore rapidità alle richieste del mercato. In particolare, il deficit più significativo si registra nel settore digitale: secondo i dati di Confartigianato, le imprese italiane necessitano di 699.000 lavoratori con competenze digitali avanzate 4.0, ma riescono a trovarne solo la metà (51,8%).Paesi come Francia e Germania, che hanno ottenuto risultati migliori dell'Italia in termini di produttività (dal 2000 al 2022, l’Italia ha registrato un +3,5% contro il +14,8% della Francia e il +22,4% della Germania), investono maggiormente nell'apprendimento continuo. Le aziende italiane destinano solo lo 0,19% del Pil alla formazione professionale (€3,7 miliardi), mentre quelle tedesche e francesi ne destinano rispettivamente lo 0,32% del Pil, ossia €12,4 miliardi e €7,1 miliardi (dati dell’Ufficio Studi PwC). È necessario un intervento politico per ripensare gli strumenti a sostegno della formazione continua, in particolare per coprire i costi indiretti (come la sostituzione e il mancato lavoro dei partecipanti ai corsi), che rappresentano circa il 60% del totale. Non si può investire nelle tecnologie senza investire nelle persone: è questa l'idea alla base della proposta "Capitale Umano 4.0", che sarà discussa venerdì al Meeting di Rimini con il ministro Giorgetti, su iniziativa dell’intergruppo per la Sussidiarietà. Il rilancio della politica industriale in Italia deve partire proprio da qui: solo persone in grado di creare e di pensare potranno fare del futuro una vera opportunità.

PwC: Nel 2023 gli NPE scendono a 53 miliardi di euro con miglioramento della qualità del credito
Nel 2023, gli NPE in Italia sono scesi a 53 miliardi di euro, con un miglioramento della qualità del credito e una stabilizzazione delle nuove NPE a 13 miliardi. Le banche italiane hanno aumentato il ROE al 14,1%, grazie all'aumento dei tassi di interesse e alla gestione efficace degli attivi.Nel 2023, gli NPE hanno raggiunto 53 miliardi di euro, segnando un continuo calo rispetto al picco di 341 miliardi di euro del 2015. L'afflusso di nuove NPE nel 2023 è stato di 13 miliardi di euro, stabilizzandosi rispetto ai 12 miliardi di euro del 2022. Negli ultimi anni, operatori e istituzioni hanno collaborato per migliorare la gestione del credito deteriorato, portando a un miglioramento della qualità del credito e riducendo la preoccupazione per gli NPE nelle banche italiane. Gli operatori del credit management hanno focalizzato l'attenzione sui crediti Stage 2 e UtP, adottando un approccio di going-concern.Il report "Navigating Tranquility" di PwC evidenzia che, a partire dal 2017, le banche hanno intrapreso un profondo processo di deleveraging, portando a una diminuzione dei volumi di transazioni NPE, che si sono stabilizzati intorno ai 21 miliardi di euro nel 2023. Tuttavia, il primo trimestre del 2024 ha registrato il numero più basso di transazioni degli ultimi anni.Il ROE delle banche italiane è aumentato negli ultimi anni, raggiungendo il 14,1% nel 2023 rispetto al 9,2% nel 2022 e al 5,6% nel 2021, grazie soprattutto all'aumento dei tassi di interesse e al miglioramento della qualità degli attivi. A dicembre 2023, il totale degli NPE nel mercato era di oltre 300 miliardi di euro, inclusi quelli ceduti a investitori e cancellati dai libri delle banche. Molti dei prestiti trasferiti durante il deleveraging sono ancora in gestione e le banche hanno oltre 200 miliardi di euro di prestiti in Stage 2 che richiedono monitoraggio. L'Italia è al terzo posto in Europa per stock di prestiti in Stage 2, dietro a Francia e Germania.A maggio 2024, il portafoglio di prestiti garantiti da Mediocredito Centrale era di 180 miliardi di euro, di cui 107 miliardi relativi ai prestiti emessi durante le misure COVID. Le escussioni sulle garanzie per default dei debitori ammontano a 3,3 miliardi di euro, meno del 2% del totale iniziale.Pier Paolo Masenza, Financial Services Strategy & Value Creation Leader di PwC Italia, alla luce del dibattito sull’evoluzione del mercato dei crediti deteriorati, spiega: “Ci sono ancora 250 miliardi di euro non più nei bilanci delle banche ma nelle mani degli investitori. Una delle priorità del sistema dovrà essere trovare soluzioni con valore sociale per gestire questo stock residuo, minimizzando l'impatto su famiglie e imprese. Le cartolarizzazioni sociali potrebbero garantire che l’immobile rimanga a disposizione del debitore che si impegna a pagare una rata per lui accessibile”.Secondo PwC Italia, inoltre, l'industria del credito deteriorato deve proseguire il suo percorso di trasformazione. Al centro di questo cambiamento vi è l'adozione della tecnologia e delle innovazioni, che consentiranno di ottimizzare l'uso dell'enorme mole di dati disponibili per servicer e originator, permettendo così analisi sempre più precise e predittive.Francesco Cataldi, Partner PwC Strategy& Financial Services, conclude: “Si prevede che il settore del credit management subirà una trasformazione sostanziale per soddisfare le esigenze in evoluzione di banche e investitori, introducendo nuovi servizi e adottando approcci innovativi per capitalizzare le opportunità di business emergenti. Negli ultimi anni, si è verificata una significativa ondata di consolidamento del mercato, portando alla creazione di player più robusti pronti ad affrontare le sfide della trasformazione del settore”.

Eurofighter Typhoon, lo studio di PwC Strategy&
Il programma Eurofighter Typhoon, frutto della collaborazione tra Germania, Regno Unito, Italia e Spagna, è un modello di eccellenza industriale europea con benefici economici significativi, come evidenziato da PwC Strategy&. L'Italia ha un ruolo chiave nello sviluppo tecnologico del progetto.Una piattaforma di difesa comune per i cieli europei che funge da motore per la crescita e l'occupazione. Il programma Eurofighter Typhoon è un esempio di eccellenza nella collaborazione industriale europea. Nato dalla cooperazione tra quattro nazioni (Germania, Regno Unito, Italia e Spagna), ha l'obiettivo di sviluppare e produrre aerei da combattimento di ultima generazione. Grazie alla sua configurazione, favorisce la cooperazione internazionale e l'integrazione delle competenze specifiche di ciascun Paese, creando un ecosistema industriale interdipendente e altamente specializzato.Uno studio indipendente di PwC Strategy& evidenzia l'impatto significativo del programma per le economie europee. Lo studio esamina l'intero spettro delle attività di sviluppo, produzione e supporto nei quattro Paesi partner, delineandone gli effetti economici nei prossimi dieci anni in due scenari evolutivi possibili.I due scenari:Nel primo scenario, con ordini per nuovi Eurofighter dalla Spagna (Halcon I e II) e dalla Germania (Quadriga), si prevede che nei prossimi dieci anni il programma contribuirà con 58 miliardi di euro al PIL delle quattro nazioni partner, generando entrate fiscali di 14 miliardi di euro e supportando 62.700 posti di lavoro all'anno. Considerando ulteriori opportunità di vendita di circa 200 Eurofighter nei mercati domestici e di esportazione, i numeri aumentano significativamente. In questo scenario, per il prossimo decennio, il programma potrebbe contribuire con 90 miliardi di euro al PIL, generando entrate fiscali di 32 miliardi di euro e supportando oltre 98.000 posti di lavoro ogni anno.È evidente quindi come l'importanza del programma non si limiti alla sola sicurezza dei cieli europei. Sono chiari i benefici socioeconomici generati, oltre al significativo sostegno al settore aerospaziale europeo con decine di migliaia di posti di lavoro supportati annualmente, a beneficio delle comunità in cui si trovano le linee di produzione Eurofighter. Inoltre, il programma garantisce il mantenimento delle infrastrutture industriali di produzione e manutenzione in Europa, promuove la sovranità nazionale e comunitaria limitando la dipendenza da tecnologie estere in ambito difensivo, e favorisce lo sviluppo di competenze tecnologiche e industriali in Europa, fondamentali per il futuro passaggio a sistemi di combattimento di nuova generazione.La capacità di produrre sistemi all'avanguardia aumenta l'efficienza delle forze armate e rafforza le basi tecnologiche ed economiche dell'Europa. Il ritorno della guerra in Europa ha evidenziato l'attuale incapacità dell'industria della difesa di sostenere un conflitto prolungato e ad alta intensità in modo univoco e organizzato.Una piattaforma per la difesa comune è dunque cruciale per garantire l'autonomia strategica e la sovranità tecnologica dell'Europa. Seguendo l'esempio degli Stati Uniti, l'Europa ha recentemente visto una solida tendenza alla collaborazione multinazionale tra gli Stati membri, con l'obiettivo di condividere conoscenze militari e risorse per sviluppare tecnologie all'avanguardia e riaffermare gli interessi nazionali.Queste iniziative, tra cui l'Eurofighter è uno degli esempi più virtuosi, sono cruciali per i Paesi partecipanti non solo per i benefici economici e sociali attesi, ma anche per favorire opportunità di sviluppi scientifici "Dual Use" - applicazioni di origine militare che trovano nuovo impiego in ambito civile e viceversa.La collaborazione continua tra difesa, industria e mondo accademico europeo consente dunque un vero vantaggio competitivo attraverso la realizzazione di nuove scienze e tecnologie che spaziano ben oltre il mondo degli armamenti.Il ruolo dell'ItaliaL'Italia svolge un ruolo chiave nel programma Eurofighter, contribuendo significativamente non solo alla componente manifatturiera e industriale, ma anche al suo sviluppo tecnologico. In quest'ottica, la partecipazione al programma di Long Term Evolution per l'ulteriore maturazione tecnologica dell'Eurofighter assume un valore strategico non solo per l'importanza dell'iniziativa, ma anche per il ruolo che l'Italia potrà giocare in futuro nel settore dei velivoli di nuova generazione.Il programma costituisce infatti una componente essenziale nell'evoluzione del Typhoon e rappresenta al contempo un banco di prova per lo sviluppo delle tecnologie di nuova generazione. Lo sviluppo di queste tecnologie garantisce all'Italia un posizionamento privilegiato nel settore dell'aerospazio e della difesa, assicurando un ruolo di riferimento nello sviluppo del programma di nuova generazione G CAP.