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Insurance Market Performance Overview 2022-2024 (SFCR)

In un contesto in continua evoluzione, il settore assicurativo italiano conferma la propria solidità patrimoniale e affronta con sempre maggiore attenzione i rischi emergenti. Il nostro report “Insurance Market Performance Overview (SFCR) 2022–2024” offre un’analisi approfondita dell’evoluzione del mercato assicurativo italiano, attraverso lo studio dei principali indicatori chiave di solvibilità desunti dai Solvency and Financial Condition Reports (SFCR). Il documento esamina le dinamiche strutturali e congiunturali che stanno caratterizzando il settore, con particolare attenzione al contesto macroeconomico e ai fattori strategici che influenzano le Compagnie.Tra questi, assume un ruolo sempre più centrale la sostenibilità, ormai priorità nelle agende dei governi, nelle aspettative della società e nei piani industriali delle imprese. I fattori ESG (Environmental, Social e Governance) stanno incidendo in modo significativo anche sul comparto assicurativo: aspetti quali il cambiamento climatico, l’inquinamento, l’invecchiamento demografico, le disuguaglianze sociali e la corruzione rappresentano infatti sfide complesse che impattano sia sul benessere collettivo sia sulla redditività e la resilienza del business assicurativo.Il report evidenzia inoltre come i principi ESG debbano essere integrati trasversalmente in tutte le aree aziendali, dalla corporate governance all’informativa non finanziaria, dalle politiche di sottoscrizione alle strategie di investimento, fino alla gestione dei rischi e ai modelli operativi.Scarica il report completo al seguente link

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Geopolitica del cambio: il declino del dollaro e le sfide per l’export italiano

Nel secondo trimestre 2025 il PIL italiano ha registrato una lieve flessione dello 0,1% rispetto al trimestre precedente, pur rimanendo in crescita dello 0,4% su base annua. Il rallentamento riflette difficoltà sia interne sia esterne, con particolare impatto sul commercio estero.La domanda nazionale ha sostenuto l’economia, contribuendo per +0,2 punti percentuali, grazie soprattutto agli investimenti fissi lordi e alla ricostituzione delle scorte. I consumi delle famiglie sono rimasti sostanzialmente stabili. Al contrario, la domanda estera netta ha inciso negativamente per -0,7 punti, poiché le esportazioni sono diminuite dell’1,7% mentre le importazioni sono aumentate dello 0,4%, peggiorando il saldo commerciale.Una parte significativa della frenata dell’export è legata al rafforzamento dell’euro: nei primi sei mesi del 2025 l’EUR/USD è salito da 1,04 a 1,16. Secondo una stima PwC, ciò avrebbe ridotto la competitività delle imprese italiane, provocando un calo delle esportazioni di circa 1,2 miliardi di euro. L’effetto si somma a tensioni geopolitiche, dazi e incertezze sulla domanda globale.La perdita di forza del dollaro deriva da un mix di fattori: instabilità politica negli Stati Uniti, dubbi sull’indipendenza della Federal Reserve, crescita economica più debole del previsto e prospettive di ulteriori tagli dei tassi. Inoltre, i flussi finanziari globali mostrano una maggiore attrattività dell’Europa, accompagnata da una graduale riduzione del peso del dollaro nelle riserve mondiali.In sintesi, le dinamiche valutarie non sono più un semplice sfondo dell’attività economica: riflettono mutamenti geopolitici profondi e incidono direttamente sulla competitività delle imprese italiane. Capire questi legami è fondamentale per orientare strategie e politiche economiche in un contesto globale sempre più complesso. Per il sistema produttivo italiano si apre dunque una fase in cui diventa essenziale diversificare i mercati di sbocco, rafforzare l’innovazione e proteggere i margini di esportazione. Una migliore gestione del rischio valutario e una politica industriale più coordinata potrebbero aiutare le imprese a mitigare gli shock esterni. Il monitoraggio continuo della situazione internazionale sarà decisivo nel determinare la capacità di ripresa nei prossimi trimestri.Per saperne di più visita la pagina dedicata

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Donne più istruite meno occupate: il paradosso italiano nella lunga corsa alla parità di genere

Nonostante i progressi in istruzione e rappresentanza, il divario tra uomini e donne nel lavoro resta profondo. Stereotipi culturali, scarsi servizi di cura e rigidità strutturali continuano a frenare il potenziale femminile.Negli ultimi dieci anni in Europa si sono registrati progressi significativi verso la parità di genere. Il divario salariale tra uomini e donne si è ridotto dal 15,7% del 2014 al 12% del 2023, mentre il tasso di occupazione femminile è salito dal 62% al 70,8%. Le donne hanno raggiunto livelli di istruzione più elevati rispetto agli uomini, superandoli di oltre sei punti percentuali tra i laureati, e la presenza femminile ai vertici delle grandi aziende europee è quasi raddoppiata, passando dal 4,3% al 9% nel decennio.Anche in Italia si osserva un miglioramento, sebbene più lento: il tasso di occupazione femminile è cresciuto dal 50,5% al 57,4% e la quota di donne in ruoli dirigenziali nelle società quotate è salita dall’8,3% al 18,9%, grazie soprattutto alla Legge Golfo-Mosca. Le donne sono inoltre più istruite degli uomini e la loro presenza nei percorsi di studio tecnico-scientifici è in aumento.Nonostante questi progressi, il divario occupazionale resta marcato: tra i 25 e i 64 anni le donne occupate sono circa 9,5 milioni, contro oltre 12,5 milioni di uomini, pur a fronte di una popolazione complessiva quasi identica. Più di una donna su tre non lavora, principalmente per motivi legati alla cura familiare, una condizione che colpisce in particolare le donne con un basso livello d’istruzione o con figli. Anche a parità di studi e competenze, le donne continuano a guadagnare meno e ad accedere con maggiore difficoltà a settori e posizioni meglio retribuiti, a causa di una persistente segregazione tra settori “femminili” a bassa redditività e settori “maschili” più remunerativi.Le differenze emergono già a scuola: nei test INVALSI 2024 le bambine ottengono risultati migliori in italiano ma peggiori in matematica, e in Italia questo divario è più che doppio rispetto alla media OCSE. Ciò suggerisce che fattori sociali e culturali, come stereotipi e modelli educativi, influenzano profondamente la percezione delle proprie capacità e le scelte formative. Le ragazze, infatti, mostrano meno fiducia nelle proprie abilità scientifiche e aspirano con minore frequenza a carriere in ambito tecnico o ingegneristico. Anche i metodi di insegnamento tradizionali, basati su lezioni frontali e trasmissione passiva, sembrano ampliare il divario di genere, mentre approcci più interattivi e orientati al problem solving lo riducono.Nel complesso, nonostante il quadro formale di pari opportunità, persistono ostacoli sostanziali che limitano l’accesso equilibrato delle donne al lavoro e alla crescita professionale. La disparità di genere continua a rappresentare un freno per l’economia e per lo sviluppo del Paese, poiché riduce il potenziale di talento e innovazione. Per colmare il divario servono politiche strutturali e culturali: maggiori servizi per l’infanzia e la cura familiare, congedi parentali più equi e flessibili, infrastrutture che riducano i tempi di spostamento e un impegno delle imprese verso modelli di lavoro inclusivi e flessibili. La parità di genere, oltre a essere una questione di giustizia sociale, è una condizione indispensabile per una crescita economica sostenibile e duratura.Per saperne di più visita la pagina dedicata

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