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La compensazione pagata da un ente locale per servizi di trasporto pubblico a prezzo calmierato non è soggetta a IVA se non incide direttamente sul prezzo del biglietto
Con la sentenza C‑615/23 dell’8 maggio 2025, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha chiarito che la compensazione versata da un ente locale a un operatore di trasporto pubblico collettivo, come la società P. S.A., non costituisce base imponibile ai fini IVA, a condizione che tale compensazione non sia direttamente connessa al prezzo pagato dagli utenti del servizio.P. S.A. aveva stipulato un contratto con un ente locale che, in qualità di organizzatore del trasporto pubblico, fissava prezzi calmierati per i biglietti, inferiori rispetto ai costi sostenuti. Per garantire all’operatore un risultato economico sostenibile, l’ente si impegnava a versare una compensazione finanziaria. La questione sottoposta alla CGUE era se tale compensazione rientrasse nella nozione di “base imponibile” secondo l’articolo 73 della direttiva 2006/112/CE, che include anche le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo del servizio.La Corte ha sottolineato che, affinché una sovvenzione sia considerata parte della base imponibile IVA, essa deve incidere direttamente sul prezzo pagato dal consumatore finale e deve esserci un nesso tra il beneficio economico ricevuto e il servizio reso. Tuttavia, nel caso in esame, la compensazione:È versata non agli utenti, ma a un terzo (l’operatore) che non è destinatario finale del servizio;Serve a coprire le perdite complessive dell’operatore, non a ridurre il prezzo dei biglietti in modo proporzionale;È indipendente dall’uso effettivo del servizio da parte dei passeggeri, non essendo calcolata sulla base dell'identità o del numero degli utenti.Di conseguenza, secondo la CGUE, tale compensazione non può essere qualificata né come una sovvenzione direttamente connessa con il prezzo, né come parte del “corrispettivo” per la prestazione del servizio. Il fatto che, in assenza di compensazione, il prezzo del biglietto sarebbe stato più alto, non è sufficiente a determinare una connessione diretta con il prezzo effettivamente pagato dagli utenti.In conclusione, la Corte ha stabilito che una compensazione di questo tipo non rientra nella base imponibile ai fini IVA, in quanto manca il nesso diretto tra l’importo versato dall’ente pubblico e il servizio fornito agli utenti.Per approfondire la lettura visita la pagina dedicata

Il private equity accelera la crescita delle imprese italiane, lo studio di PwC
Le aziende in portafoglio ai fondi di private equity hanno registrato una crescita media annua dei ricavi dell’8,7% negli ultimi cinque anni, superando di 5,7 punti percentuali l’andamento del PIL italiano. Nell’ultimo anno, il tasso di crescita annuale composto (CAGR) di queste aziende è salito dal 7,5% all’8,7%.È quanto emerge da un’analisi condotta da PwC, che evidenzia anche come l’EBITDA delle società sostenute dal private equity sia aumentato con un CAGR del 7,1%, rispetto al 2,5% registrato da un benchmark di imprese private di medie e grandi dimensioni.Secondo Francesco Giordano, Private Equity Leader di PwC Italia, due sono i fattori chiave alla base di questa performance: «A monte, c’è un’attenta attività di selezione per individuare le eccellenze dell’economia. A valle, il private equity, in quanto investitore temporaneo, adotta un approccio molto focalizzato sulla gestione, puntando in particolare su processi che accelerano la crescita».Giordano aggiunge inoltre che «i fondi sono abili nel selezionare i manager giusti e nel definire strategie efficaci di M&A: il private equity rappresenta un vero e proprio motore per l’aggregazione. E la tendenza è destinata a proseguire, considerando che in Italia esiste ancora un ampio margine per costruire filiere e avviare processi aggregativi».Guardando al lungo periodo, le aziende oggetto di operazioni di buy-out hanno costantemente sovraperformato il benchmark nel corso dell’ultimo decennio, registrando una crescita media annua superiore di 4,4 punti percentuali nei ricavi e di 1,6 punti nell’EBITDA. Ancora più marcato il divario nel caso delle società finanziate dal venture capital, che hanno messo a segno una crescita superiore al benchmark di 9,2 punti nei ricavi e di 10,3 punti nell’EBITDA.

Donne e Moda: il barometro 2024. Lo studio di PwC Italia
Negli ultimi cinque anni la presenza femminile nei vertici del settore moda è cresciuta, ma il 2024 segna un lieve rallentamento. Secondo il report “Donne e Moda: il barometro 2024”, realizzato da PwC Italia in collaborazione con Il Foglio della Moda, solo il 30,6% dei ruoli apicali nelle aziende associate alla Camera Nazionale della Moda Italiana è occupato da donne, in leggero calo rispetto al 30,9% del 2023. Nei consigli di amministrazione la quota scende al 25,8% (-1,2 punti rispetto al 2023), mentre nei collegi sindacali sale al 27,4% e tra i procuratori scende al 35,6%.Come evidenziato da Erika Andreetta, partner PwC Italia e Emea luxury community leader: “Risulta evidente l’urgenza di agire centralmente con misure concrete e incentivi che accelerino la competitività delle imprese e ne tutelino, di conseguenza, il capitale umano. Farlo significherebbe mettere il lavoro femminile al centro dell’agenda politica ed economica del Paese, generando un effetto domino positivo: preservazione delle filiere, risorse per welfare e formazione, occupazione qualificata e valorizzazione delle competenze femminili, anche in ambito tecnico e Stem”.L’occupazione femminile è invece più marcata nella manodopera, dove nel 2023 le donne rappresentavano il 59,3% nel comparto tessile-abbigliamento, molto al di sopra della media manifatturiera (28,9%). Le donne sono predominanti tra impiegate (fino al 73,8% nell’abbigliamento) e operaie, ma sottorappresentate nei ruoli dirigenziali: solo il 17,8% nel tessile e il 31,6% nell’abbigliamento.Nel settore degli accessori (calzature, pelletteria, pellicceria, concia), il 49,6% degli occupati è donna, ma solo il 2% ricopre ruoli dirigenziali. La forza lavoro femminile in questo comparto è in gran parte over 40, con appena l’11,3% sotto i 29 anni.Segnali positivi emergono però dal mondo delle Pmi, dove quasi tre CEO su quattro sono donne, grazie anche alla prevalenza di imprese a conduzione familiare. L’indagine PwC su 195 Pmi associate a Cna Federmoda mostra che nel 91% dei casi nel 2025 le donne rappresentano almeno il 50% della forza lavoro (rispetto al 77% nel 2024). Il 49% delle Pmi ha consigli di amministrazione a prevalenza femminile, ma nel 64% dei casi le donne ricoprono più di un incarico, segno di un’organizzazione interna familiare e multitasking.Le dirigenti nelle Pmi lavorano principalmente in produzione (19%), amministrazione (16%), design (12%) e vendite (10%). Tuttavia, solo il 2% delle manager ha meno di 30 anni, contro il 14% degli uomini under 30, evidenziando un forte gap generazionale.