Certificazione sulla parità di genere: una nuova opportunità per le imprese
Le principali novità introdotte a seguito dell'aggiornamento del codice delle pari opportunità (Legge 162/2021) sulla parità di genereAl fine di rafforzare la tutela delle pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo, negli ultimi anni la normativa ha subito un’importante evoluzione. In particolare, il Codice delle pari opportunità è stato aggiornato con la Legge 162/2021 e presenta una serie di novità, tra cui l’estensione dell’obbligo di redazione, con cadenza biennale, di un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile e l’introduzione, a partire dal 1° gennaio 2022, della Certificazione sulla parità di genere.Sulla base della struttura della Vostra organizzazione e dei Vostri obiettivi di business, il nostro team è in grado di supportarvi in tutte le fasi del percorso finalizzato all’ottenimento della certificazione. PwC potrà inoltre fornire il suo supporto su alcuni aspetti specifici della parità di genere, tra cui quelli legati al gender pay gap.Principali riferimenti legislativi e normativi:• D.Lgs 198/2006 Codice delle pari opportunità tra uomo e donna;• L. 162/2021 Modifiche al Codice di cui al D.Lgs 198/2006 e altre disposizioni in materiadi parità tra uomo e donna in ambito lavorativo;• Decreto Interministeriale del 29 marzo 2022;• D.L. 36/2022 - Modifica al Codice dei contratti pubblici (D.Lgs 50/2016);• UNI ISO 30415 Gestione delle risorse umane - Diversità e InclusioneIn PwC supportiamo le organizzazioni in tutte le fasi del percorso finalizzato all’ottenimento della certificazione e su alcuni aspetti specifici legati al tema della parità di genere.Per approfondire la lettura clicca qui
Private capital, 2022 miglior anno di sempre con 23,6 miliardi investiti
Gli investimenti totali lo scorso anno sono risultati in crescita del 61%. le previsioni per il 2023 sono più caute a causa delle tensioni bancarie a livello internazionale e il rialzo dei tassi di interesse.Da parecchi anni PwC è partner strategico di AIFI (Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital) con cui sviluppa importanti iniziative tra le quali:Italian Private Equity and Venture Capital Industry Survey: condotta ogni sei mesi per mezzo di questionari online, coinvolge gli operatori di private equity presenti nel mercato italiano. PwC supporta AIFI nella revisione e nell’analisi dei dati.L'impatto economico del Private Equity e del Venture Capital in Italia: lo studio è progettato per investigare le performance delle società target relativamente a un periodo di holding definito (dall’anno successivo a quello di acquisizione all’anno di disinvestimento). La ricerca si focalizza su venture capital, includendo start up expansion, e sul segmento dei buy-out.«Il 2022 è stato il miglior anno di sempre con investimenti totali per 23,659 miliardi con una crescita del 61%. Tanti capitali in più sono affluiti sulle nostre imprese e anche sul sistema infrastrutturale per un totale di 848 operazioni. Nel dettaglio sono raddoppiato i buy out, che hanno raggiunto gli 11 miliardi dai 5,4 miliardi del 2021 in 185 deal, mentre le operazioni del settore infrastrutture hanno toccato i 10,7 miliardi in 52 operazioni. A livello di numero di deal la fa da padrone il venture capital con 547 operazioni». Questo il quadro disegnato da Anna Gervasoni, direttrice generale di Aifi, in occasione della presentazione dei risultati dell'analisi condotta dall’Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt, in collaborazione con PwC Italia – Deals, sul mercato italiano del capitale di rischio.«Buon andamento soprattutto degli investimenti - ha commentato il presidente di Aifi Innocenzo Cipolletta - con una presenza a carattere internazionale. Gli investitori internazionali stanno facendo operazioni dirette e allo stesso tempo investono nei nostri fondi. Questo evidenzia una carenza di investitori italiani».«Ci aspettiamo un 2023 leggermente diverso rispetto allo scorso anno. Private equity e venture capital stanno risentendo della situazione congiunturale internazionale. Il clima è cambiato e c’è una minore propensione a prendere rischi, inoltre in prospettiva ci sarà una riduzione della liquidità. Tutto questo si ripercuoterà anche sul nostro mercato, soprattutto nel settore venture capital. L’Europa può reagire attraverso gli operatori pubblici, che possono supportare i mercati» osserva Cipolletta.Sulle difficoltà per il 2023 concorda anche Francesco Giordano, partner PwC: «Dall’operatività di tutti i giorni vediamo difficoltà nelle operazioni medio-grandi a causa del contesto finanziario, soprattutto per l’aumento dei tassi e la carenza liquidità. Alcune operazioni, quindi, potrebbero essere spostate più avanti nell’anno».«Nel 2022 a livello internazionale si è registrata una riduzione nella raccolta del 22% a livello di ammontari e del 49% a livello di operatori. Sono aumentati anche i mesi necessari per arrivare al closing, sono necessari ora circa 20 mesi» illustra Francesco Giordano, che aggiunge: «Un’ulteriore contrazione si è registrata a livello di investimenti a 6.575 deal. Più marcato il calo in Europa, con una riduzione del 53%, contro l’8% degli stati Uniti. Inoltre hanno visto una forte riduzione anche i disinvestimenti pari al 47% a livello di ammontare e 45% a numero con le Ipo che si sono ridotte del 73%, mentre le vendite a operatori industriali del 33%».Per saperne di più visita la pagina dedicata
Top 500 Verona | La classifica
Nel 2021 le aziende veronesi sono cresciute sia dal punto di vista dei volumi che della marginalità, con un rimbalzo del 17,6%, che ha permesso loro di colmare il calo di fatturato che avevano evidenziato nel 2020. Per reagire a un 2022 caratterizzato da instabilità e incertezza le imprese hanno spinto sullo sviluppo e sugli investimenti in persone e tecnologie. Nel 2023, con l’obiettivo di mantenere marginalità, le imprese mireranno alla crescita, soprattutto attraverso acquisizioni internazionali e di competenze di manager con una visione più ampia del mondo e punteranno su strategie ESG, sulla trasformazione digitale, sull’ottimizzazione delle attività in portfolio in funzione del ritorno sul capitale investito e, soprattutto, sulle strategie di prezzo.Scopri la classifica delle prime 500 aziende della provincia
Top 500 Vicenza | La classifica
Dimenticare il 2020. Sembra sia stato questo l’obiettivo che si sono date le aziende vicentine nel 2021, l’anno della ripartenza. E il risultato è arrivato, condensato in un numero: 8,9 miliardi. A tanto ammonta l'aumento registrato dal fatturato cumulato delle 500 maggiori società vicentine inserite in questo inserto tra l’anno dello scoppio della pandemia e quello della riscossa. Per la precisione, le 500 “top” sono passate dai 32,7 miliardi del 2020 ai 41,6 del 2021. I dati mostrano una crescita di fatturato significativa, ancora maggiori sono i recuperi sui margini e la crescita di investimenti e patrimonio. Il merito va riconosciuto a tutti, però. Non soltanto alle aziende industriali, ma anche a quelle artigiane, al mondo del commercio e dei servizi. È tutta l’economia che si è rimessa in moto.Le 500 più grandi società con sede in provincia sono passate nel complesso dai 32,7 miliardi di fatturato del 2020 ai 41,6 del 2021 Una ripresa che vale 9 miliardi.Scopri la classifica delle prime 500 aziende della provincia
Top 500 Bologna | La classifica
Il 2021 è stato un anno di riscatto per il paese, con una crescita economica importante nonostante le difficoltà non siano mancate. In questo quadro, le imprese bolognesi hanno ottenuto risultati mai visti prima. L’aspettativa per i prossimi due esercizi è di una possibile flessione della redditività, ma dopo un 2023 di crescita bassa si spera che il sistema riprenda a correre in futuro.Elementi come l'internazionalizzazione, trasformazione digitale e sostenibilità rappresentano oggi leve strategiche che le imprese bolognesi possono e devono utilizzare per crescere e aumentare la propria competitività sul mercato nei prossimi anni.Scopri la classifica delle prime 500 aziende della provincia
Top 500 Firenze | La classifica
Le imprese fiorentine hanno registrato mediamente, nel 2021, una crescita del fatturato pari al 29%, una variazione superiore a quella nazionale. Per il 2023, dal punto di vista dell’impatto dell’aumento dei prezzi energetici sul fatturato delle aziende, i settori più impattati saranno probabilmente quello sanitario, cartario e del cemento. Fra i segni positivi per il futuro, ci sono invece le opportunità di finanza agevolata, agevolazioni fiscali, crediti d’imposta o finanziamenti a tassi agevolati. Diverse misure sono previste anche tra gli interventi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).Scopri la classifica delle prime 500 aziende della provincia
Dal green al digitale: ottimismo sul Paese. Leggi l'approfondimento di Giovanni Andrea Toselli
Ci sono più 191 miliardi di euro da impiegare entro il 2026 "Aziende consapevoli delle opportunità offerte dal Pnrr"Fonte La Repubblica.«L’importanza del Pnrr risiede nell’impatto significativo che avrà sull’intera collettività e sulla crescita economica dell'Italia. Sono ottimista perché il Paese sta reagendo più che bene». Dal suo osservatorio, costituito da imprese di ogni tipo e settore. Giovanni Andrea Toselli, presidente e ad di PwC Italia, prova a guardare il bicchiere mezzo pieno per il futuro del maxipiano di investimento e riforme che può cambiare la prospettiva economica dell'Italia nei prossimi anni. Ci sono più 191 miliardi di euro sul piatto, tra prestiti e risorse a fondo perduto, da impiegare entro il 2026. E sei missioni da portare a termine, dalla digitalizzazione alla transizione ecologica, che si articolano in centinaia di progetti su tutto il territorio, da Nord a Sud. Nel 2021-22 sono state erogate due tranche di finanziamenti pari a 66,9 miliardi di euro. Il governo italiano è ora in attesa della valutazione della Commissione europea in merito alla richiesta per il pagamento della terza rata da 21 miliardi di euro. Risorse che si andranno ad aggiungere a quelle già incassate negli scorsi mesi e che serviranno a finanziare la costruzione di ferrovie, piste ciclabili, asili nido, ma anche per diffondere la tecnologia 5G e per avviare opere infrastrutturali che sono cruciali per il Paese. «I fondi del Pnrr vedono un'applicazione importante a progetti che fanno leva sull'ammodernamento delle infrastrutture e altri immobili, oltre che sull'energia e sulla digitalizzazione. Sono tutti aspetti che hanno indubbiamente grande rilevanza per il bene comune. Inoltre, vedo una forte consapevolezza da parte delle imprese e sono convinto che molti progetti possono ancora prendere vita», assicura Toselli che sul tema si è già pronunciato due settimane fa durante il secondo appuntamento dell'anno, dedicato al Pnrr, di “Italia 2023: Persone, Lavoro, Impresa": la piattaforma di dialogo con i massimi esponenti del mondo delle istituzioni, della finanza e dell'impresa promossa da PwC Italia in collaborazione con il gruppo editoriale Gedi. Il punto di vista di Toselli è quello del mercato. E lui sa bene che il Pnrr rappresenta una "straordinaria occasione" di rilancio del nostro tessuto imprenditoriale, impegnato oggi a ripensare i propri modelli di business in chiave sostenibile. «Dall'analisi delle risposte della nostra PwC Ceo Survey 2023, circa il 65% degli intervistati ritiene che il proprio modello di business sarà oggetto di revisioni sostanziali per essere sostenibile nei prossimi 10 anni -conferma Toselli - Se è vero che la determinazione di un investimento si basa anzitutto sui ritorni ipotizzati nel momento in cui si esegue, allora, vivendo in un mondo mutevole, è impossibile definire progetti oggi che richiederanno investimenti nel lungo periodo senza prevedere revisioni periodiche dell'approccio». Insieme alla sostenibilità, l'altra grande sfida del Pnrr è proprio la digitalizzazione (Missione I). L'obiettivo di questo intervento è promuovere la transizione digitale della PA e del settore privato, favorendo la competitività delle aziende italiane sui mercati internazionali. La dotazione è di circa 41 miliardi di euro, di cui circa 10 miliardi per la PA (migrazione al cloud dell'infrastruttura pubblica, estensione del servizi digitali ai cittadini, rafforzamento delle difese di cybersecurity): 24 miliardi per le imprese (digitalizzazione del sistema produttivo, investimenti in tecnologie 4.0, riforma della proprietà industriale, innovazione digitale, internazionalizzazione delle Pmi e realizzazione di una infrastruttura nazionale di connettività in banda ultralarga): 7 miliardi per il turismo e cultura 4.0. «Innanzitutto, senza una copertura di rete adeguata, la digitalizzazione vera non può esistere», premette Toselli. Che ammette: «C'è ancora molto da fare perché, senza una connettività idonea, non saremo nelle condizioni di utilizzare tecnologie evolute ed innovative, come ad esempio il Metaverso, che offrono opportunità dal punto di vista relazionale e della produttività. Grazie ad una rete sempre più performante otterremo grandi processi di efficientamento. Il dialogo è oggi soprattutto incentrato su smart working e laureati Stem, ma la vera sfida è trovare il modo di spiegare cosa significa vivere e pensare digitale». A proposito di digitalizzazione, Toselli conclude con una «riflessione imprescindibile sulla cybersecurity»: «In Italia abbiamo aziende strategicamente preparate, ma c'è ancora molto da fare. Sono convinto che, con l'implementazione del processi produttivi digitali, le imprese saranno sempre più esposte a questi rischi che dovranno essere attentamente gestiti». - v.dc.
Global and Italian M&A Trends 2022 e Outlook 2023: in Health Industries
Servizi diagnostici, consumer healthcare, nutraceutica e CDMO i settori più caldi.Quali saranno i driver di investimento di Corporate e fondi di Private Equity nel settore Healthcare / Pharma per le attività di M&A nel 2023?Secondo la nostra “Global and Italian M&A Trends 2022 e Outlook 2023: in Health Industries” saranno il consolidamento del mercato dei servizi sanitari, la resilienza ed alta marginalità del settore e la possibilità per i corporate di ampliare e completare i loro portafogli di prodotti.“In un contesto di incertezza economica, il settore Health Industries rimane fortemente attrattivo offrendo un mix di resilienza, prospettive di crescita di ricavi e margini alti che ne fanno uno dei settori prediletti dai fondi di Private Equity. Si aggiunge inoltre l’opportunità per le principali aziende farmaceutiche nazionali di sfruttare, in un contesto di scarsa disponibilità di finanza e alti tassi di interesse, l’ampia cassa detenuta per fare acquisizioni strategiche volte ad ampliare l’offerta di prodotti / rafforzare e completare la pipeline. Queste dinamiche, unitamente ad una possibile normalizzazione dei multipli valutativi quale diretta conseguenza delle pressioni inflattive, dovrebbe sostenere l’attività di M&A nel settore Health Industries nel 2023 con un progressivo miglioramento nel corso dell’anno.” Nicolò Brombin, Health Industry Deals Leader, Partner PwC Italia.A livello globale l’attività di M&A nel 2022 ha registrato una contrazione nel settore Health Industries del 23%, sebbene il numero di deal sia rimasto sopra i livelli pre-pandemici. In Italia il settore Health Industries ha concluso il 2022 con 88 operazioni annunciate, in decremento rispetto al 2021 (111). Mentre nel segmento Pharma&Lifescience il numero di operazioni annunciate è rimasto sostanzialmente stabile (55 nel 2022 vs. 53 nel 2021), i deal nel segmento degli Health Services sono calati da 58 (2021) a 33 (2022).Tutti i dettagli sul sito dedicato.
Auto elettriche in Italia: “Ripensare l’offerta, perché la domanda c’è"
Studio PwC Strategy&: un italiano su tre è interessato ad acquistare veicoli Bev nei prossimi 2 anni. Nel 2022 importate 50mila automobili cinesiFonte La Repubblica.itPer crescere su larga scala, le auto elettriche in Italia dovrebbero costare meno. Ma questo è possibile solo ripensando l’offerta, a partire dai modelli di fascia più bassa, per ridurre progressivamente il divario di prezzo sulle vetture a combustione interna. Così lo studio eReadiness di PwC Strategy& spiega i motivi delle poche immatricolazioni di autovetture Bev (Battery Electric Vehicle) nel nostro Paese: la quota si è fermata al 3,7% nel 2022, in calo del 4,6% rispetto al 2021; mentre in Europa sono cresciute in media del 29% rispetto all’anno precedente, con una penetrazione del 13,9% rispetto alle vendite totali di autovetture. Ma non è il caso dell’Italia. A quanto pare, non per una carenza di domanda. Anzi, secondo lo studio, in Italia oltre un consumatore su tre si dichiara interessato ad acquistare auto elettriche nei prossimi 2 anni, percentuale che sale al 75% in caso di orizzonte temporale esteso a 5 anni. Tale quota è superiore a quella di altri Paesi europei che sono più avanti nel percorso di transizione alla mobilità elettrica, come ad esempio Germania e Regno Unito, in cui la percentuale di immatricolazioni delle vetture Bev nel 2022 è stata molto più alta rispetto all’Italia (17,8% e 17,2% contro 3,7%).Oltre al prezzo, l’altro deterrente sono le infrastrutture di ricarica. Poche e distribuite a macchia leopardo. Non a caso, gli italiani, che comprano auto elettriche o che sono intenzionati a farlo, vivono nelle province a più alto potere di acquisto. Il loro reddito medio risulta superiore di oltre il 50% rispetto a chi non è interessato. La barriera economica resta, però, il primo ostacolo. E non solo in Italia. Lo studio osserva che in Europa le auto elettriche costano mediamente oltre il 25% in più rispetto ad auto di pari livello a combustione interna. Questo contesto penalizza, in particolare, l’Italia ed altri principali Paesi europei con potere di acquisto pro capite più basso come la Spagna e, in misura più moderata, la Francia. “I piani di lancio di prodotti elettrici in Europa hanno seguito il tipico processo di introduzione di nuove tecnologie, che punta in prima istanza ad indirizzare i segmenti di mercato più profittevoli”, spiega Francesco Papi, partner di strategy& e automotive leader di PwC Italia. In Cina la situazione è esattamente all’opposto. Qui si è preferito puntare da subito sull’elettrificazione di massa, proponendo vetture accessibili per raggiungere nel tempo più breve possibile una produzione su vasta scala, con i relativi benefici economici.Francesco Papi, Partner di Strategy& e automotive leader di PwC Italia In Italia, invece, l’offerta di vetture Bev nel 2022 ha riguardato prevalentemente modelli di fascia media (segmenti C e D). Per contro, l’analisi delle vendite evidenzia una netta concentrazione della domanda sul segmento A delle citycar, pari al 34% del totale mercato Bev, su cui sono stati offerti solo 7 modelli rispetto ai circa 80 commercializzati nello stesso anno. Lo studio segnala questa distonia tra esigenze della domanda di massa e offerta del mercato automotive: gli italiani chiedono prezzi accessibili su segmenti di fascia medio-bassa soprattutto per la mobilità urbana, i produttori puntano invece su auto elettriche di fascia medio-alta perseguendo una logica di marginalità piuttosto che di volume. Tutto questo, prosegue lo studio, pone il nostro Paese in una situazione di stallo nella transizione alla e-mobility e apre la porta a una maggiore importazione di prodotti dalla Cina.Nel 2022 i brand cinesi, da un lato hanno guadagnato quota rispetto all’anno precedente nel mercato domestico a scapito dei costruttori stranieri (principalmente americani e coreani), dall’altro hanno incrementato la market share in Europa. In particolare, in Italia, l’import dalla Cina è stato di circa 50.000 veicoli nel 2022 considerando sia la quota di produzione in Cina di marchi internazionali (es. Tesla), sia la vendita nel nostro mercato di marchi cinesi (es. Byd, Xpeng, Nio) direttamente da parte del costruttore, tramite importatori o assemblatori locali. Nel 2025, tale fenomeno raddoppierà raggiungendo quota 100.000 veicoli, pari a circa il 6% del totale del mercato in Italia.