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ESG e fiscalità: il fattore di sostenibilità della governance, letto attraverso il Tax Control Framework
ESG e fiscalità: il fattore di sostenibilità della governance, letto attraverso il Tax Control FrameworkMarco Lio - Tax Partner PwC TLSEstratto: La gestione della fiscalità è entrata a pieno titolo nei parametri di sostenibilità e nella relativa reportistica, su cui le imprese sono valutate dal mercato, dagli investitori, dalle organizzazioni non governative e dai consumatori, oltre che dalle Amministrazioni finanziarie. Nel trifoglio ESG, l’organizzazione dei processi fiscali è parte del petalo della governance - tralasciando solo per ragioni di spazio di questo contributo gli altri due petali, che pure hanno a che vedere con le imposte. In questo contesto, l’impresa che si doti di un sistema evoluto di controllo interno del rischio fiscale - internazionalmente identificato con il termine di Tax Control Framework - soddisfa i requisiti ESG, per quanto riguarda la fiscalità; al tempo stesso, la spinta ESG verso la compiuta rappresentazione del controllo del rischio fiscale è un ottimo pungolo per le aziende a convergere verso modelli di Tax Control Framework. Sommario: 1. L’acquario della tax transparency nel contesto dell’ESG - 2. La comunicazione di sostenibilità a riguardo delle imposte - 3. Il Tax Control Framework - 4. L’osmosi tra TCF e ESG.1.L’acquario della tax transparency nel contesto dell’ESGLe imposte giocano un ruolo significativo nella dinamica della sostenibilità, oggi riassunta nel trifoglio ESG - Environmental, Social e Governance - nato sotto l’egida dell’ONU ed entrato nel lessico quotidiano : oltre al diretto collegamento di taluni tributi con il fattore “ambientale” ed all’incasellamento della raccolta delle imposte nel fattore “sociale”, la gestione della fiscalità ben si accasa nel petalo della “governance”.D’altro canto, tra i Sustainable Development Goals tracciati in ambito Nazioni Unite, nel documento programmatico adottato nel 2015 e noto come Agenda 2030 , la fiscalità si incastona per certo negli obiettivi Peace, Justice and Strong Institutions (SDG 16) e Partnerships for the Goals (SDG 17) .Non deve quindi stupire che la migliore pratica internazionale sulla reportistica di sostenibilità abbia, da qualche tempo, messo a fuoco anche gli aspetti legati al prelievo tributario ed alla relativa gestione: in termini di strategia fiscale, di controllo dei rischi, di rapporto con le Autorità fiscali e di rendicontazione del prelievo in sé, Paese per Paese .La variabile fiscale e l’approccio nella gestione dei rischi sottesi alla corretta determinazione delle imposte sono così entrati a far parte del catalogo degli indicatori che investitori e mercato - oltre che amministrazioni finanziarie, organizzazioni non governative e consumatori - mettono sotto osservazione, nella valutazione di un’impresa, delle sue performance pregresse e prospettiche e del suo grado di responsabilità sociale.La metafora dei pesci nell’acquario, con gli osservatori che di qua dal vetro ne misurano i comportamenti, suggerisce come le imprese oggi – e in via incrementale domani, anche in logica monitoraggio dei sussidi Covid-19 - saranno scandagliate e valutate sulla base degli approdi evolutivi della tax transparency che vanno a corroborare sempre più l’effetto vetrina. Seguendo la metafora, occorre fornire alle imprese gli strumenti necessari per distinguersi, nel banco, come i pesci dalla livrea più brillante, così da rendersi più attrattivi sul mercato e agli occhi degli stakeholders: nel seguito si proverà ad argomentare come lo strumentario del Tax Control Framework, nel garantire un puntuale controllo del rischio fiscale, consente di accattivarsi le attenzioni degli investitori.2.La comunicazione di sostenibilità a riguardo delle imposteA partire dagli esercizi finanziari aventi inizio dal 1° gennaio 2017, con la Direttiva sul non-financial reporting - cui si farà riferimento, di seguito, con l’acronimo NFRD, utilizzato in ambito unionale - il legislatore europeo ha prescritto, a banche, compagnie di assicurazione e riassicurazione e società quotate di grandi dimensioni, la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario .La normativa, che si applica agli enti di interesse pubblico che soddisfano parametri di rilevanza espressi in termini di forza lavoro e di valori economici e patrimoniali , prevede l’obbligo di fornire informazioni sulla sostenibilità, avendo riguardo quanto meno ai temi ambientali, a quelli sociali ed attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione attiva e passiva.Per la redazione dell’informativa non finanziaria, nell’attuale impianto legislativo europeo, non è stato stabilito un framework di riferimento obbligatorio, definito in via autonoma a livello unionale: è tuttavia previsto che le imprese possano adottare gli standard di rendicontazione emanati da autorevoli organismi sovranazionali, internazionali o nazionali, di natura pubblica o privata, specificando lo standard seguito, salvo poter sviluppare una metodologia autonoma di rendicontazione .Lo standard che si è ampiamente affermato come il riferimento di mercato è quello elaborato dal Global Sustainability Standard Board e compendiato nel framework del Global Reporting Initiative o GRI Standards . Per gli esercizi finanziari in corso al 31 dicembre 2020, con l’adozione del GRI 207, pubblicato il 5 dicembre 2019, il reporting non finanziario, secondo i GRI Standards, si è arricchito delle informazioni relative alla materia fiscale, laddove le imposte siano valutate come un tema materiale per l’impresa - . In dettaglio: oltre alla rendicontazione delle informazioni fiscalmente rilevanti, Paese per Paese, per ogni giurisdizione dove l’impresa opera (GRI 207-4) , lo standard GRI 207 ha prescritto la rappresentazione dell’approccio adottato nella gestione della fiscalità (GRI 207-1) e la descrizione della governance e del modello di controllo dei rischi fiscali (GRI 207-2), oltre che della modalità di relazione con gli stakeholders aziendali, tra i quali l’autorità fiscale (GRI 207-3).Una prima fonte pubblica di informazioni sulla modalità di gestione della variabile fiscale - nella logica dell’acquario - è stata così alimentata dalla reportistica non finanziaria. Le imprese che hanno adottato il framework GRI, in particolare, si sono dovute confrontare con la rappresentazione, dall’esercizio 2020:i)della strategia fiscale adottata (o della mancata adozione della stessa), con particolare riguardo al tax risk appetite: ad esempio, se sono state declinate misure ragionevoli per rispettare la lettera e lo spirito delle normative fiscali delle giurisdizioni in cui l’impresa opera - GRI 207-1; ii)del sistema di controllo e gestione del rischio fiscale (o della mancanza dello stesso) e, in dettaglio, con quali processi e procedure si garantisce la compliance alla normativa tributaria (rischio di adempimento) o si gestisce l’incertezza nell’interpretazione della stessa (rischio interpretativo) - GRI 207-2;iii)della relazione con l’autorità fiscale, in specie se si partecipa a regimi di co-operative compliance, fondati sull’interlocuzione preventiva sui rischi fiscali, al fine di assicurare certezza al contribuente - GRI 207-3.Con la proposta di Direttiva del 21 aprile 2021 in tema di corporate sustainability reporting - che citeremo di seguito come Proposta di CSRD - la Commissione europea ha previsto una manutenzione del quadro normativo di riferimento sul non-financial reporting .Muovendosi nel contesto del Green deal europeo e con l’intento di disegnare un quadro europeo per la comunicazione societaria sulla sostenibilità, la Proposta di CSRD, inter alia e per quanto qui di interesse: i) amplia la platea dei soggetti obbligati alla rendicontazione non finanziaria ricomprendendovi, già dal 2023, tutte le imprese di grandi dimensioni, anche non quotate, e, a decorrere dal 1° gennaio 2026, le imprese di medie e piccole dimensioni, solo se quotate ; e ii) prevede la definizione di principi unionali obbligatori per l’informativa sulla sostenibilità, da adottare con atti delegati alla Commissione europea, al fine di “garantire la comparabilità delle informazioni e la divulgazione di tutte le informazioni pertinenti” .Con particolare riguardo all’obiettivo di creare gli standard europei di sustainability reporting, la Commissione europea si propone di coordinare questo sforzo con le analisi dei migliori standard setter che già oggi operano sul mercato, primo tra i quali, come si è detto, è il GRI Standards: i principi europei dovrebbero in tal modo contribuire al processo di convergenza dei principi di informativa sulla sostenibilità a livello globale . Come detto, il quadro internazionale sul reporting non finanziario già oggi valorizza, nel GRI 207, l’informativa sulla gestione della fiscalità, tanto per il fattore di sostenibilità dato dalla governance, per le informazioni richieste dal GRI 207-1/3, quanto con riferimento al fattore sociale, in relazione ai requisiti informativi prescritti dalla reportistica Paese per Paese di cui al GRI 207-4.Ma vi è di più: tra i criteri tracciati per la definizione dei principi di informativa di sostenibilità, devoluta alla Commissione europea, la proposta di CSRD include espressamente le informazioni relative ai fattori di governance e tra esse: i) la disclosure relativa all’etica aziendale ed alla cultura di impresa; nonché ii) gli elementi informativi sui sistemi interni di controllo e gestione del rischio dell’impresa . I lavori per l’adozione dei principi unionali sull’informativa di sostenibilità sono già in corso, per arrivare a rilasciarli per la prima applicazione prevista per gli esercizi che iniziano dal 1° gennaio 2023 . Il coordinamento con i principi GRI - che già oggi hanno incorporato le tematiche fiscali all’interno della comunicazione non finanziaria - combinato con il criterio direttivo della mappatura di standard etici e sistemi di controllo del rischio, rendono chiara la strada tracciata dalla Proposta di CSRD: i principi europei di informativa sulla sostenibilità non potranno che richiedere, con riguardo al fattore governance, la rendicontazione degli aspetti di gestione della fiscalità che già oggi sono confluiti nel quadro di riferimento dei GRI Standards, dopo l’endorsment del GRI 207 di cui si è detto. Aggiungiamo che questa stessa azione combinata renderà necessario dare conto, sotto il fattore sociale delle questioni di sostenibilità, del contributo delle imprese alle esigenze finanziarie delle diverse giurisdizioni in cui operano, attraverso la fiscalità .3.Il Tax Control Framework3.1 Il sistema di controllo interno del rischio fiscale nel contesto della sostenibilitàI lavori in corso a livello europeo, oltre ad aumentare il numero di pesci sotto osservazione nell’acquario metaforicamente richiamato nelle prime righe di questo contributo, consolideranno le linee guida unionali per la reportistica di sostenibilità, che contribuiranno a fornire all’osservatore ulteriori spunti di analisi sulla corporate tax governance delle imprese che nuotano nell’acquario.L’adozione di un sistema di controllo interno del rischio fiscale - Tax Control Framework, secondo la tassonomia internazionale - è la necessaria e compiuta risposta all’esigenza delle imprese di far bella mostra di sé a riguardo dei fattori di sostenibilità correlati alla variabile fiscale.Per argomentare opportunamente questa tesi, prendiamo le mosse dal framework condiviso a livello internazionale, per il compiuto disegno e l’effettiva gestione di un sistema di controllo interno del rischio fiscale, che peraltro ha trovato pieno riconoscimento e legittimazione anche nel nostro ordinamento.Lo standard di riferimento, nel disegno di un sistema di controllo dedicato al rischio fiscale, è stato tessuto dai lavori multilaterali svolti in seno all’OCSE: dal 2008 al 2013, i documenti elaborati sulla scorta delle esperienze dei Paesi più avanzati hanno definito i pilastri intorno ai quali edificare un Tax Control Framework (TCF), per garantire all’impresa di essere “in controllo” dei rischi fiscali . I riferimenti adottati dall’OCSE, nel disegnare i sei building blocks del TCF si ispirano, a loro volta, ai 5 componenti e 17 principi elaborati dal COSO Framework, a riguardo dei sistemi di controllo interno, e da quest’ultimo quadro di soft law traggono il proprio retroterra culturale ed esperienziale .Nel contesto italiano, l’armamentario di derivazione OCSE è stato fatto proprio dal legislatore domestico per regolare l’ammissione al regime di co-operative compliance, denominato adempimento collaborativo, introdotto nel nostro ordinamento, per i contribuenti di maggiori dimensioni, nel preliminare presupposto che si siano dotati di un Tax Control Framework . L’esperienza domestica ha aggiunto alcuni dettagli operativi agli standard internazionali, andando a completare il quadro di riferimento cui ispirarsi per la messa a terra di un sistema di controllo interno che mitighi efficacemente il rischio fiscale .L’alberatura del TCF secondo le indicazioni dell’OCSE, ulteriormente arricchite dalle prescrizioni del regolatore italiano, risponde in pieno ai requisiti necessari per soddisfare le esigenze sostanziali ed informative richieste - e in corso di riscrittura - nel contesto della comunicazione di sostenibilità di cui si è detto sin qui. Si proverà nel seguito a ripercorrere i pilastri del TCF, per evidenziare i punti di contatto tra il sistema di controllo interno del rischio fiscale e le prescrizioni desumibili dal quadro ESG. Lo faremo scandendo le tre aree di funzionamento del TCF, cui ricondurremo i building blocks declinati in sede OCSE ed i requisiti che, per derivata dai lavori internazionali, l’Agenzia delle entrate riscontra in sede di ammissione al regime di adempimento collaborativo: i) l’ambiente di controllo; ii) la mappatura dei rischi fiscali; iii) la governance del TCF.3.2 Le aree di funzionamento del TCF3.2.1 L’ambiente di controlloÈ agli atti della Commissione del Senato degli Stati Uniti d’America, guidata dal senatore Carl Levin, nel 2014, un caso che ha coinvolto una multinazionale nordamericana, che sin dal 2004 aveva realizzato un sistema di controllo, volto a identificare e misurare le operazioni del gruppo, sotto le lenti del rischio fiscale. Il Tax Risk Guards Rail System, come era stato denominato, prevedeva un meccanismo di risk scoring delle scelte interpretative incerte e aveva intercettato l’operatività del gruppo in Svizzera come una posizione ad alto rischio fiscale, in relazione alle royalties con cui la filiale elvetica drenava profitti.Le risultanze emerse condussero tuttavia il top management a chiudere il sistema di controllo interno, che le aveva fatte venire a galla, invece di mettere in ordine la gestione della fiscalità con riguardo alla filiale svizzera: l’epilogo della vicenda ha visto in seguito il gruppo oggetto di una contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria statunitense (IRS) proprio sulla fiscalità legata alle operazioni della controllata elvetica, ma l’insegnamento che ne traiamo è piuttosto legato al primo componente di un robusto Tax Control Framework: il pieno coinvolgimento degli organi apicali - e in specie del Consiglio di amministrazione - nell’adozione di un TCF, pena la mancanza di effettività dello stesso.È così richiesto dalla best practice che il TCF affondi le proprie radici in un ambiente eticamente orientato al controllo del rischio fiscale ed alla relativa gestione proattiva, piuttosto che alla sindrome dello struzzo, come nel caso esaminato dalla Commissione Levin: per queste ragioni, i lavori OCSE prevedono che il tessuto connettivo di un sistema di controllo del rischio fiscale sia dato dalla condivisione valoriale, in capo al top management ed al Board, della volontà di essere in controllo del rischio fiscale .Il tone at the top a riguardo della gestione del rischio fiscale, prescritto dai documenti OCSE e ripreso dalle indicazioni sul regime interno dell’adempimento collaborativo, si traduce nell’adozione di una strategia fiscale, che definisca il tax risk appetite e che delinei “il grado di coinvolgimento dei vertici aziendali nelle decisioni di pianificazione fiscale e gli obiettivi che l’impresa si pone in relazione ai processi di gestione del rischio fiscale” .Sono inoltre richiesti soft controls che contribuiscono, unitamente alla strategia fiscale, a corroborare un control environment necessario per evitare che il disegno di un TCF resti sulla carta come è successo al Tax Risk Guards Rail System: ad esempio le azioni di diffusione della cultura fiscale, al di fuori della sola funzione tax, piuttosto che l’assenza di obiettivi assegnati ai manager volti alla minimizzazione, purché sia e senza razionali sottostanti, del carico fiscale.3.2.2 La mappatura dei rischi fiscaliIl sistema di controllo deve prevedere:i)la rilevazione del rischio fiscale, mediante la mappatura dei rischi fiscali e la relativa associazione ai processi aziendali in cui si manifestano;ii)la misurazione del rischio fiscale, in termini quantitativi e qualitativi;iii)la gestione e il controllo del rischio fiscale, identificando i presidi a mitigazione dei rischi ed i relativi gap da sanare .L’impianto del sistema di controllo, per il rischio di corretto adempimento della normativa tributaria, si traduce nella tessitura di matrici rischi/controlli, che associano ai processi aziendali le fattispecie rilevanti, perché foriere di rischi, e le attività di presidio su questi ultimi. Si tratta di mettere in sicurezza il rischio di compliance, da intendersi come rischio di correttamente adempiere al precetto normativo tributario, attraverso la puntuale determinazione, liquidazione e dichiarazione delle imposte dovute.Le indicazioni dell’OCSE prescrivono una mappatura granulare dei rischi di corretto adempimento della normativa tributaria, così che il TCF possa abbracciare, nella quotidianità, ogni attività aziendale in cui possa annidarsi il rischio fiscale . Vale la metafora per cui il TCF è come un ombrello che ci mette al riparo dall’acquazzone: se lo apriamo - ovvero se mappiamo puntualmente rischi e controlli - restiamo all’asciutto, mentre se lo teniamo chiuso - con una mappatura superficiale, non opportunamente attagliata alla concreta realtà aziendale - ci bagniamo come se l’avessimo lasciato a casa .La puntuale declinazione della mappatura sulla fiscalità pertinente il business dell’impresa è richiesta non solo in sede di primo disegno del TCF, bensì anche nell’aggiornamento periodico cui devono essere sottoposti rischi e controlli riportati nelle matrici, alla luce delle novità fiscali e delle modifiche di processo: uno dei requisiti di adeguatezza del TCF è infatti l’adattabilità rispetto al mutare del contesto tanto normativo (dunque esterno), quanto di business (ovvero interno) .Sempre per garantire granularità e attualità delle mappe di rischio, a seguito dell’introduzione dei reati tributari nel perimetro della responsabilità amministrativa degli enti, ex art. 25-quinquiesdecies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, occorre assicurare un ulteriore irrobustimento del Tax Control Framework, al fine di mappare il rischio fiscale comprendendo le fattispecie rilevanti ai fini della responsabilità penale, così da ottenere benefici di mitigazione anche della correlata responsabilità degli enti . Il TCF potrà, in tal modo, essere di supporto del modello di gestione e controllo, quale esimente della responsabilità degli enti, nella denegata ipotesi in cui occorra affrontare il giudizio di idoneità postuma di quest’ultimo rispetto ad un’eventuale violazione in cui si sia incorsi - .3.2.3 La governance del TCFLa chiara definizione di una corporate tax governance costituisce l’ulteriore requisito del TCF e opera su due livelli: la gestione del rischio fiscale ed il monitoraggio del sistema di controllo.In primo luogo, l’impresa deve definire un percorso tracciato e ripercorribile a riguardo dell’assunzione del rischio fiscale, nella manifestazione di quest’ultimo in termini di rischio interpretativo. Oltre che dalla - e prima della - dimensione di adempimento, i rischi di violazione della normativa tributaria discendono dalla puntuale interpretazione della stessa: l’attribuzione del corretto significato alle prescrizioni fiscali e la corretta qualificazione dei fatti sottesi alla relativa applicazione generano spesso incertezza, che si porta dietro un più o meno elevato tasso di potenziale sindacabilità delle scelte interpretative.Ne segue la necessità di gestire, attraverso il TCF, oltre che il rischio di compliance, quello sotteso alle scelte interpretative, assicurando una chiara attribuzione di ruoli e responsabilità, relativamente alla gestione della materia tributaria, a persone con adeguate competenze ed esperienze, secondo criteri di separazione dei compiti .La puntuale identificazione e misurazione delle scelte che generano incertezza fiscale, attraverso un percorso di tracking and tracing delle stesse scelte, risponde ad una delle prescrizioni del framework delineato dall’OCSE . La definizione di un ordinato processo di analisi del rischio interpretativo consente in particolare: i) di creare la necessaria escalation decisionale, per attribuire l’assunzione del rischio alle pertinenti funzioni aziendali, al crescere della magnitudine del rischio stesso; ii) di adottare i necessari presidi a mitigazione dei rischi interpretativi, dal ricorso alla consulenza esterna, al confronto preventivo attraverso l’interlocuzione con l’Agenzia delle entrate, nell’ambito del regime di adempimento collaborativo, in ossequio agli obblighi che ci si assume al riguardo, al superamento delle soglie di significatività del rischio .In secondo luogo, il TCF deve altresì garantire un processo di monitoraggio dei meccanismi di controllo del rischio fiscale disegnati, al fine di dare assurance rispetto alle procedure in cui si articola il sistema di controllo interno del rischio fiscale e di individuare eventuali carenze o errori nel funzionamento dello stesso e la conseguente attivazione delle necessarie azioni correttive .Il TCF si deve pertanto articolare in tre linee di difesa: la prima, attribuita alle funzioni che gestiscono i processi in cui si annidano i rischi fiscali - sia di compliance, sia interpretativi - come tali owner di controlli di primo livello; la seconda, attribuita ad una funzione indipendente di tax risk management, che non svolge le attività di linea fiscalmente rilevanti, in ossequio al principio di segregation of duties, e che verifica periodicamente il disegno (test of design) e l’effettività (test of effectiveness) dei controlli di primo livello disegnati nel TCF; la terza, tipicamente svolta dalle funzioni audit dell’azienda o attribuita ad una funzione di assurance esterna, al fine di garantire, in maniera immanente, la consistenza del sistema nel complesso .Da ultimo, le regole di corporate tax governance devono prevedere la chiusura del sistema, in termini di flusso informativo di ritorno, rispetto agli input forniti dal Consiglio di amministrazione, attraverso l’adozione della strategia fiscale: tanto sui rischi interpretativi, quanto sugli esiti delle attività di monitoraggio, deve essere prevista la relativa rendicontazione in una relazione, almeno annuale, diretta al Consiglio stesso, che è responsabile, in ultima analisi, del disegno, dell’implementazione e dell’effettività del TCF .4.L’osmosi tra TCF e ESGIl disegno del Tax Control Framework, secondo l’articolazione che si è ripercorsa, consente di dotare l’impresa di una strategia fiscale, di una mappatura dei rischi e di regole di tax risk governance per la relativa assunzione e mitigazione. Si garantisce, con questo strumento, una presa solida dell’impresa sul rischio fiscale. Ed ancora, andando oltre la mera gestione del rischio di conformità alla lettera della norma, un TCF così strutturato ed articolato può compiutamente indirizzare l’impresa verso comportamenti ispirati al pieno apprezzamento dell’impatto sociale delle imposte come contribuzione chiave per i bisogni collettivi dei Paesi dove le imprese operano: il Tax Control Framework è idoneo a mettere al riparo anche da condotte fiscali che, pur formalmente compliant con la disciplina tributaria, possano ugualmente compromettere il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità dell’attività di business.La puntuale declinazione operativa del sistema di controllo interno, unitamente al periodico aggiornamento e monitoraggio del TCF, integrano e soddisfano in tal modo pienamente le aspettative di investitori e stakeholders che osservano, sotto la lente della corporate sustainability, i comportamenti fiscali dei pesci nell’acquario della tax transparency da cui siamo partiti. Il fattore della governance, all’interno del trifoglio ESG, può essere ulteriormente rafforzato attraverso l’adesione, abilitata dal TCF, ai regimi di co-operative compliance, che assicurano una relazione rafforzata con le competenti Amministrazioni finanziarie, garantendo certezza sulle scelte fiscali, in cambio di trasparenza, e consolidando in tal modo la posizione di contribuente al riparo dai rischi fiscali, letta attraverso gli indicatori della comunicazione di sostenibilità .Per altro verso, le dinamiche ESG e l’esigenza di mostrare all’osservatore di là dal vetro dell’acquario le proprie qualità di impresa che ha a cuore la sostenibilità, anche nella gestione delle imposte, suggeriscono l’adozione di un TCF, che dia attestazione dell’effettività del controllo del rischio. Ed eventualmente l’adesione all’adempimento collaborativo e ai regimi multilaterali di co-operative compliance.In questo senso, un virtuoso flusso osmotico, a beneficio dell’impresa, può mettere il TCF a servizio delle esigenze ESG, così da soddisfare i requisiti di sostenibilità sul lato delle imposte, e dare al contempo stimolo, internamente all’azienda, per adottare il TCF, proprio per risultare in linea con le prescrizioni ESG.
Report Calcio 2021
ReportCalcio 2021Il censimento del calcio italianoRapporto Annuale sul calcio italiano, sviluppato dal Centro Studi FIGC in collaborazione con AREL (Agenzia di Ricerche e Legislazione) e PwC."L’effetto combinato della contrazione dei ricavi e dell’aumento dei costi ha determinato il peggior risultato netto dalla nascita del ReportCalcio... oggi è più che mai urgente favorire l’introduzione di modelli e strumenti di sostenibilità economica e finanziaria che rimettano al centro dell’attenzione la crescita esponenziale dei costi di un sistema così complesso, ma anche le grandi opportunità di crescita dei ricavi che il futuro sembra offrire. [...]"Andrea Samaja - Partner, PwC ItalyApprofondisci i key highlight del ReportCalcio 2021 al seguente link.
25a Annual PwC Global CEO Survey
PwC Global CEO Survey: forte ottimismo dei CEO italiani, l’89% prevede un’economia in crescita nel 2022.Andrea Toselli, Presidente e Amministratore Delegato di PwC Italia: "Fondamentale la fiducia nel futuro, che oggi si esprime nell’ottimismo sulla crescita dei ricavi e nella capacità di migliorare le proprie performance rispetto agli obiettivi net zero".Nonostante i numerosi venti contrari, dovuti soprattutto alla pandemia Covid tuttora in corso, i ceo a livello globale non sono mai stati così ottimisti negli ultimi dieci anni rispetto alle prospettive di una ripresa economica per l’anno a venire. Il trend vale anche per l'Italia: l’89% degli amministratori delegati (il 77% a livello globale) prevede un miglioramento, mentre solo il 10% (15% worldwide) si attende condizioni peggiori. Per quanto riguarda il Bel Paese, si stima una crescita nel 2022 del 19% rispetto ad un anno fa, quando era pari al 70%, mentre a livello globale aumenta di solo un punto arrivando al 77%. È quanto emerge dalla 25° Annual global ceo survey di PwC, che ha intervistato 4.446 chief executive officer in 89 paesi, di cui 123 nella nazione italiana, tra ottobre e novembre del 2021.Il Customer Trust Index mostra una correlazione tra la fiducia dei clienti, quella dei CEO e l’impegno per il “net zero”La fiducia non è mai stata così importante per il successo di un’azienda, ma averla e conservarla non è mai stato così difficile. Per la prima volta, il sondaggio di PwC ha creato un “Customer Trust Index” basato sulle risposte dei CEO a una serie di domande rispetto al comportamento dei loro clienti. Il sondaggio mostra una forte correlazione tra la fiducia e la sicurezza, in quanto i CEO delle aziende situate ai primi posti nel nostro indice sulla fiducia dei clienti sono anche quelli più sicuri rispetto alle prospettive di crescita nell’anno a venire. A livello globale, il 71% dei CEO delle aziende ai primi posti dell’indice è molto o estremamente sicuro sulle prospettive di crescita dei ricavi della propria azienda nei prossimi 12 mesi.Si riscontra una correlazione anche tra la fiducia e gli impegni verso il “net zero”: a livello globale è molto più probabile che i CEO delle aziende che figurano ai primi posti dell’indice sulla fiducia dei clienti siano a capo di organizzazioni che si sono impegnate in tal senso (il 29%), rispetto a quelle che si trovano in fondo alla lista (il 16%). I CEO delle aziende “a elevato livello di fiducia” sono altresì più propensi a guidare organizzazioni che hanno correlato al compenso risultati diversi da quelli finanziari. Rispettivamente, circa la metà, il 51% e il 46%, dei CEO a capo di organizzazioni in cima alla lista in termini di fiducia, hanno assunto un impegno a livello di metriche di soddisfazione del cliente e interazione con i dipendenti collegate ai bonus personali o agli incentive plan.I timori dei CEO a livello globale: rischi informatici, sanitari e volatilità macroeconomicaSe l’ottimismo dei CEO vola alto per la maggioranza, riscontriamo anche la piena consapevolezza delle potenziali minacce che potrebbero avere un impatto sulle aziende nei prossimi 12 mesi. I rischi informatici e sanitari rappresentano ancora le principali minacce sia per i CEO italiani che per quelli globali, identificate rispettivamente dal 41% (49% a livello globale) e dal 36% (48% a livello globale) dei CEO. Segue a ruota la volatilità macroeconomica, con il 34% dei CEO (49% a livello globale) che si dichiara molto o estremamente preoccupato per l’impatto potenziale che le oscillazioni del PIL, l’inflazione e le questioni riguardanti il mercato del lavoro potranno avere sull’anno in appena iniziato.Comprensibilmente, una percentuale elevata di CEO del settore dell’ospitalità e del tempo libero (il 75%) teme i rischi sanitari per l’economia, mentre il 49% dei CEO delle società in ambito energetico, delle utility e delle risorse considera il cambiamento climatico la principale minaccia per il 2022 (15 punti in più rispetto alla percentuale totale globale).La percezione nei confronti delle minacce varia a livello geografico: più della metà (il 58%) dei CEO della regione Asia-Pacifico è molto o estremamente preoccupato circa i rischi sanitari nel prossimo anno (fa eccezione la Cina, in cui solo il 42% dei CEO è molto preoccupato in merito). In confronto, solo il 37% dei CEO dell’Europa occidentale e il 44% del Nord America nutrono timori analoghi rispetto ai rischi sanitari. Viceversa, solo il 44% dei CEO della regione Asia-Pacifico è altamente preoccupato per i rischi informatici (l’Australia, al 71%, è l’eccezione degna di nota), mentre i CEO del Nord America mostrano un elevato livello di preoccupazione (56%; il 61% negli USA), al pari dell’Europa occidentale (50%; il 41% in Italia).Alessandro Grandinetti, Clients & Market Leader di PwC Italia: "Non distogliere l’attenzione da queste tematiche che andranno a definire la tipologia di mondo in cui viviamo"Alessandro Grandinetti, Clients & Market Leader di PwC Italia, afferma: “Oltre alle minacce sanitarie e informatiche, non si possono sottovalutare quelle, non meno importanti, derivanti dal cambiamento climatico e dalla disuguaglianza sociale. E’ fondamentale non distogliere l’attenzione da queste tematiche a più lungo termine, in quanto andranno a definire la tipologia di mondo in cui viviamo e che trasmetteremo alla prossima generazione. In particolare, una risposta efficace ad un tema quale la riduzione delle emissioni, che può e deve essere gestito a livello globale, richiede due condizioni tra loro inscindibili: da un lato la messa a fattor comune di risorse, tanto economiche quanto in termini di competenze specialistiche del capitale umano (meglio se eterogenee), e dall’altro la convergenza di visione rispetto al cambiamento. Tali condizioni possono essere soddisfatte tramite la collaborazione, industriale e culturale, tra imprese ed ecosistema, perché queste diventino acceleratore e volano del cambiamento”. Nicola Anzivino, EMEA Deals Clients & Market Leader di PwC: “I nostri CEOs stanno guardando in modo significativo ad operazioni di crescita: gli USA sono l’area preferita"Volgendo lo sguardo al di là del proprio confine nazionale per far crescere i ricavi nel prossimo anno, i CEO italiani ritengono che gli USA offrano il potenziale maggiore: per i prossimi 12 mesi, il 40% (41% a livello globale) li posiziona tra i principali paesi per le prospettive di crescita della propria azienda, in aumento rispetto al 39% (35% a livello globale) del 2021. Con il 36% la Germania è al secondo posto (+8 punti rispetto all’anno scorso; a livello globale la seconda destinazione è la Cina indicata dal 26% dei CEO), seguita dalla Francia (26%, +12 punti rispetto a un anno fa). Per i CEO degli USA, il Regno Unito è al primo posto per far crescere i ricavi nei prossimi 12 mesi: il 37% lo inserisce tra i mercati principali, più della Cina (26%); mentre per i CEO cinesi gli USA (29%) sono tra i primi paesi, subito seguiti da Australia (24%), Germania (23%) e Giappone (23%).Il sondaggio mostra che servono maggiori progressi per raggiungere gli obiettivi globali sul clima, poiché meno di un terzo dei CEO afferma che la propria azienda si è impegnata per ridurre le emissioni: solo il 28% (22% a livello globale) degli intervistati dichiara un impegno “net zero”, mentre il 36% (29% a livello globale) dichiara che la propria azienda sta lavorando per impegnarsi sul punto. Una percentuale analoga, il 31% (26% a livello globale), si è impegnata verso l’impatto zero del carbonio e un altro 28% (30% a livello globale) sta lavorando in tal senso.Il 29% dei CEO italiani (34% a livello globale) ha individuato nel cambiamento climatico una preoccupazione fondamentale per l’anno a venire, riflettendo la convinzione che questa non avrà un impatto sulla crescita dei ricavi sul breve termine. Sul lungo termine, tuttavia, garantire che l’impegno verso il “net zero” sia al centro delle strategie aziendali sarà essenziale non solo per mitigare i rischi del cambiamento climatico (il 66% dei CEO considera il punto “molto” o “estremamente influente”, 63% a livello globale) ma anche per andare incontro alle aspettative di clienti (69%, 61% a livello globale), investitori (47%, 51% a livello globale) e dipendenti (41%, 44% a livello globale).Gli impegni “net zero” tendono a essere principalmente associati a società più grandi e con un impiego maggiore di carbonio. A livello globale, tra i CEO le cui aziende si sono impegnate verso il “net zero”, quelle in ambito elettricità e utility (40% delle aziende) sono al primo posto, seguite da quelle in ambito energia (39%), circa 15 punti in più rispetto ai settori successivi: telecomunicazioni e bancario e mercati dei capitali, entrambi al 24%. Circa due terzi (65%) dei CEO, le cui aziende registrano ricavi di minimo 25 miliardi di dollari, si sono impegnati per il “net zero”, rispetto al 10% di quelle con meno di 100 milioni di dollari di ricavi.Oltre il 60% dei CEO italiani (oltre il 70% a livello global) dichiara che la propria azienda non ha ancora attivato politiche di sostenibilità quali impegni di “net zero” o di “carbon neutral”.Non stupisce quindi, che il 71% dei CEO (vs 57% a livello globale) pensi che la propria azienda non produca una quantità significativa di emissioni di gas serra (GHG); il 26% (24% a livello globale) dei CEO non sono certi che la propria azienda possa rispettare l’impegno preso, sempre il 26% sostiene che le loro industrie non sarebbero in grado di affrontare l’impegno dal punto di vista economico.A livello globale, la Survey di PwC ha rilevato che più l’impegno verso la decarbonizzazione è significativo per un’azienda, maggiori saranno le probabilità che gli obiettivi delle emissioni siano parte della strategia aziendale e siano collegate ai compensi dei CEO. Delle società in cui i CEO affermano di avere degli obiettivi “net zero” allineati con la scienza, il 70% include i target delle emissioni nella strategia aziendale (rispetto al 44% delle aziende con obiettivi non allineati con la scienza e al 9% di quelle senza alcun impegno “net zero” o “carbon neutral”), mentre un terzo di quelle con, o che stanno avanzando verso, un impegno “net zero” allineato con la scienza collegano le emissioni ai compensi dei CEO, rispetto a solo l’1% delle aziende senza alcun impegno “net zero” o “carbon neutral”.Toselli, Presidente e Amministratore Delegato di PwC Italia, conclude: “Nei 25 anni della Global CEO Survey, abbiamo visto i CEO italiani affrontare molte sfide. Oggi, i nuovi scenari prodotti dalla pandemia globale e dal cambiamento climatico stanno mettendo le imprese alla prova in modo inedito. Un elemento fondamentale è, però la fiducia nel futuro, che oggi si esprime nell’ottimismo sulla crescita dei ricavi e nella capacità di migliorare le proprie performance rispetto agli obiettivi “net zero”, presupposto per il raggiungimento di risultati solidi e a lungo termine”. Per ulteriori approfondimenti cliccare qui.
Ridurre l'impatto aziendale in azienda
Neutralità climatica al 2050. Oltre la politica c'è di più. Anzi serve di più. Ad esempio una declinazione del mondo produttivo e delle imprese che metabolizzi gli obiettivi che il mondo si è dato e provi ad aiutare facendo la propria parte e fornendo un esempio.PwC ha da poco presentato il suo piano Net Zero 2030, programma che mira a raggiungere la neutralità climatica aziendale entro i prossimi 8 anni.Per seguire l'intervista di Giovanni Andrea Toselli, Presidente e AD di PwC Italia, clicca qui
Industrial Manufacturing & Automotive M&A Trends 2021 & Outlook 2022
L’attività 2021 di M&A a livello mondiale nel settore IM&A è cresciuta rispetto al 2020 del 30% in termini di volumi e del 67% in termini di valore, superando anche l’attività ante pandemia. I fondi di Private Equity rimangono molto attivi, anche se vi è un leggero aumento della quota di operazioni corporate rispetto all’anno precedente.A livello italiano, la crescita del mercato IM&A è stata del 22% in termini di volume e del 28% in termini di valore (escludendo dal dato 2020 il megadeal Autostrade), con oltre 337 operazioni per un controvalore di $ 10,5 miliardi (calcolato sulle 73 operazioni con deal value pubblico). Il rapporto tra deal corporate e PE è rimasto sostanzialmente simile a quello dell’anno precedente: i primi rappresentano il 33% del volume, mentre i secondi il 67%.Electric VehicleAlcuni cambiamenti disruptive del settore, come ad esempio gli Electric Vehicle (EV) nel settore Automotive, determineranno una mutazione duratura della domanda di veicoli e una riconversione dei processi produttivi che porterà beneficio ad alcuni settori collegati, ad esempio quello della produzione di batterie elettriche e della componentistica auto ad alto contenuto tecnologico, mentre altri player, come quelli concentrati sulle propulsioni tradizionali, dovranno percorrere grandi progetti di trasformazione che a loro volta genereranno altre operazioni straordinarie.Questi settori promettenti continueranno ad attirare l’interesse sia dei fondi di Private Equity e sia delle aziende con abbondante liquidità, entrambi interessati soprattutto a operazioni capability driven. Il mercato delle operazioni straordinarie vedrà ancora alcune transazioni in distressed assets, rappresentate dalle aziende più impattate dalla pandemia che in passato hanno avuto problemi di liquidità o hanno puntato troppo su prodotti e tecnologie ormai obsolete.Le pressioni inflazionistiche sulle materie prime, i problemi di approvvigionamento riguardanti alcuni fattori produttivi (ad esempio: semiconduttori, chip, ecc.) e le tensioni geopolitiche rappresentano comunque la sfida più complessa da affrontare per le imprese del settore IM&A.
The Digital CFO: Using the Digital Finance Function Strategically
Lo Studio sui CFO: vi è un enorme potenziale per la trasformazione digitale della funzione FinanceLo studio di PwC evidenzia che per la maggioranza dei CFO intervistati la digitalizzazione della funzione Finance riveste la massima importanza. Tale processo sembra essere agli stadi iniziali nella maggior parte delle Società: solo per le grandi aziende (con un fatturato maggiore di 10 miliardi di euro) è più semplice intraprendere un percorso di digitalizzazione potendo far leva su budget più importanti e su personale dedicato a tali attività.“A distanza di un anno dal report Finance Transformation, questo nuovo studio condotto da PwC sui CFO di tutto il mondo dimostra ancora una volta che la digitalizzazione è una priorità per la maggior parte degli intervistati”Nicola Morlin, Partner Finance Transformation in PwC ItaliaIn molte delle società intervistate vi è un enorme potenziale per la digitalizzazione della funzione Finance e per i CFO la trasformazione della loro area rappresenta una grande opportunità nell’ottica di rafforzare il loro ruolo strategico.
No-Code Development Program
Il No-Code Development Program accompagna le organizzazioni nell’adozione di Google AppSheet per sviluppare un ecosistema di applicazioni aziendali. Grazie al programma di PwC, i team aziendali hanno la possibilità di creare, condividere e gestire applicazioni personalizzate, anche in assenza di competenze tecniche, digitalizzando i processi aziendali e rivoluzionando il modo in cui lavorano.Per approfondire la lettura clicca qui