Ernesto Iaccarino di Ristorante Don Alfonso 1890

Chef - Ristorante Don Alfonso 1890

Da promessa della revisione in PwC ad una vita in cucina: il tuo è un percorso bizzarro. Ce lo puoi raccontare?


Si certo, sembra proprio un percorso bizzarro ma non lo è stato per me. In realtà è stato tutto molto naturale. Fin da bimbo aiutavo in azienda paterna, dividendomi tra cucina e sala, e studiavo. Finito il liceo avrei potuto scegliere se andare all’università o entrare in azienda di famiglia.  Ma poiché a scuola non andavo male, i miei hanno spinto perché continuassi . Quindi decisi di fare Economia e Commercio alla Federico 2° di Napoli. Ed anche all’università continuavo a lavorare quasi tutti i weekend nel ristorante di famiglia. Finita l’università , il giorno dopo, mentre mi facevo la barba , mi sono detto ed ora ? Cos’hai imparato in questi anni di università? Beh mi sono reso conto che non potevo rientrare in azienda perché si, forse ,avevo imparato a studiare. ma non avevo nessuna esperienza di lavoro . Ed allora decisi di fare Audit per finalizzare i miei studi. Dopo due anni alla PWC ero pronto per rientrare in azienda.


Iaccarino: un cognome, un destino. Tu rappresenti la terza generazione della tua azienda famigliare: spesso viene considerato un passaggio cruciale. Come hai gestito il rapporto con i tuoi predecessori? Quali novità hai apportato in termini di innovazione? 


Beh, penso che il passaggio sia delicato , ovvio, ma se hai due genitori intelligenti come Livia ed Alfonso , che ti permettono anche di sbagliare, allora penso sia più facile.

Sai l’innovazione, l’evoluzione è fondamentale per qualsiasi azienda ed il cibo è da sempre evoluzione. Quando torno dalla Nuova Zelanda , dove abbiamo una consulenza, inizierò a lavorare su una macchina rivoluzionaria per le cotture. Una macchina che cucina con gli ultrasuoni. Non è detto che mi soddisferà, vedremo. Il cibo è evoluzione, ma è anche identità , è cultura di un popolo. C’è una frase molto bella di Eleanore Maguire : “ Chi dimentica il passato non riesce neppure ad immaginare il futuro”.


Come l’esperienza in PwC ti ha aiutato?


Innanzitutto in PWC crei amicizie che ti durano una vita, e questo già di per se è un valore assoluto.

Poi l’idea stessa della partnership , mi ha aperto un mondo. Quest’idea di partire come dipendente e diventare partner mi ha sempre affascinato. Per cui mi sono detto , perché non farlo anche noi a S Agata? Quindi inizi ad investire sulle persone, crei persone che ti possano sostituire e quando sono pronte per fare gli chef , li mandi a fare i responsabili dei ns ristoranti all’estero ed in italia.

E poi c’è il discorso del tuo background personale , che PWC aiuta a formare. Oggi mi capita di parlare con Oligarchi russi , tycoon cinesi o sultani e se a tavola si parla di politica o di economia , ecco diciamo che riesci a stare a tuo agio anche fuori dai fornelli.


C'è sempre maggior attenzione alla qualità dei cibi e alla loro identità: come gestite questo aspetto sia nei vostri ristoranti sia nei prodotti della vostra azienda agricola? 


Il cibo sta diventando sempre più intrattenimento, esperienza da vivere come quando si va a teatro, dove la spettacolarizzazione e la provocazione fanno parte dello show,ma i contenuti debbono rimanere un riferimento assoluto, ancor più che per uno scrittore o per un giornalista, perché noi siamo ciò che mangiamo. Il cibo è la benzina del nostro corpo. Dobbiamo creare ancora di più una cultura del buon mangiare in Italia. A volte siamo disposti a spendere 1000 euro per un telefonino e vogliamo invece risparmiare sul cibo. Su questo il nostro Paese penso debba fare una riflessione. Noi per fortuna in Italia abbiamo ancora gli artigiani che producono incredibili ingredienti , dobbiamo sostenerli pagando il giusto prezzo per il loro lavoro. Ecco un ruolo importante del cuoco, deve essere come un guardiano a difesa dei piccoli produttori e dei prodotti d’eccellenza, portandoli all’attenzione del pubblico e valorizzandoli in cucina.

Partendo da questa idea di cucina , è stato naturale costruire la nostra azienda agricola biologica dove produciamo la maggior parte delle verdure e della frutta che utilizziamo al Don Alfonso e l’olio extravergine di oliva.

Quando andiamo all’estero , partiamo sempre dal lavoro sulle materie prime. Usiamo anche i prodotti del Paese in cui andiamo, ovviamente. Ero a Toronto un mese fa,  per una nuova apertura, ho assaggiato un bisonte biologico, mi sono innamorato e l’ho metterò in carta. Dove non abbiamo prodotti di qualità, organizziamo la logistica dall’Italia con tutto quello che ci serve.


Avete mai pensato, se non lo state già facendo, di veicolare i vostri prodotti attraverso la GDO?  


No. Abbiamo ingredienti incredibili, ed artigiani che li interpretano al meglio, abbiamo tradizioni in cucina. Tutto questo rappresenta un patrimonio da difendere, ma non dobbiamo mai dimenticare che la cucina è evoluzione da sempre. E su questo potrei fare mille esempi, ma ne scelgo uno su tutti. Il Pomodoro non esisteva in Europa, solo dopo la scoperta dell’ America inizia ad arrivare da noi, solo nel 1700 si è iniziato ad utilizzare in cucina. Nel 1700 era un prodotto nuovo, oggi fa parte della nostra tradizione consolidata.


Come proteggere la cultura del cibo e la filiera del made in Italy nel mondo?


La tracciabilità degli ingredienti può essere una soluzione. Conosco produttori di pasta che usano solo grani italiani e li tracciano. Se lo facessimo su tutti i prodotti e tutto ciò fosse poi reso pubblico, sia in Italia che all’estero, allora si che potremmo parlare di protezione.


Se dovessi dare dei consigli a giovani chef per il futuro, cosa diresti loro?


I giovani d’oggi non hanno più fame, a parte ovvie eccezioni, per fortuna. Ho un bimbo di 4 mesi e la prima cosa che gli dico ogni mattina è : “ non mi interessa che tu sia bello, non mi interessa che tu sia intelligente, devi avere fame, devi imparare a soffrire, senza I sacrifici non si va da nessuna parte”.


Qual è la sensazione che ancora oggi provi quando ti metti ai fornelli?


E’ un po’ come scendere in campo. C’è l’adrenalina, c’è la concentrazione ma soprattutto la voglia di divertire e divertirsi.


Dove ti vedi fra 10 anni?


Penso ancora in cucina.

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