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Fuori campo IVA i trasferimenti di beni esistenti in Italia rientranti nell’ambito di scissioni di ramo d’azienda e fusioni avvenute all’estero

Con le risposte ad interpello n. 91 del 19 gennaio 2023 e n. 157 del 24 gennaio 2023, l’Agenzia delle Entrate, ha fornito chiarimenti in relazione al trattamento applicabile ai fini dell’IVA (e, nell’interpello n. 91, anche dell’imposta di registro) al trasferimento di beni presenti sul territorio dello Stato rientranti rispettivamente nell’ambito di una scissione parziale e di una fusione per incorporazione transfrontaliera avvenute all’estero tra società residenti nell’Unione europea senza stabile organizzazione in Italia.

In particolare, nella risposta ad interpello n. 91, l’istante è una società di diritto tedesco, priva di stabile organizzazione ma registrata ai fini IVA in Italia, che effettua una scissione parziale di un ramo d’azienda sito in Germania nei confronti di un’altra società tedesca, priva di stabile organizzazione ma registrata ai fini IVA in Italia, nel quale sono comprese rimanenze di beni esistenti nel territorio dello Stato. L’istante specifica anche che il diritto civile tedesco, al pari di quello Italiano, prevede che il soggetto beneficiario subentri in tutti i diritti ed obblighi connessi al ramo scisso determinando una prosecuzione delle posizioni soggettive in capo alla società destinataria del compendio trasferito senza che vi sia soluzione di continuità nella gestione dell’attività trasferita dalla scissa alla beneficiaria e che anche nella normativa IVA tedesca, come in quella Italiana, è stata recepita la facoltà attribuita agli Stati Membri dall’articolo 19 della Direttiva 2006/112/CE di non assoggettare ad IVA “i trasferimenti a titolo oneroso o gratuito o sotto forma di conferimento ad una società di una universalità totale o parziale di beni” per mancanza del presupposto oggettivo.

In tali circostanze, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che il trasferimento dei beni esistenti in Italia in dipendenza della scissione parziale estera sia da considerarsi non soggetto ad IVA ai sensi dall’art. 2, comma 3, lettera f), del d.P.R. 633/1972, considerato che tale disposizione comprende “i passaggi di beni in dipendenza di fusioni, scissioni o trasformazioni di società e di analoghe operazioni poste in essere da altri enti”.

Sul punto, l’Agenzia ricorda come, con la risoluzione n. 152/E del 2008 (richiamata anche nella successiva risposta n. 555 del 2022), l’applicazione della disposizione in commento sia stata già riconosciuta anche in dipendenza di passaggi di beni effettuati in occasione di una fusione tra due enti non commerciali avente ad oggetto beni non relativi ad un’attività d’impresa. Per questo motivo, a maggior ragione, la norma in oggetto troverebbe applicazione in caso di passaggio/assegnazione[1]  di beni localizzati in Italia e funzionalmente connessi al trasferimento di un ramo d’azienda, seppur esistente all’estero, mediante scissione.

Con riferimento alla documentazione da conservare per comprovare l’operazione e renderla opponibile a terzi ed all’imposta di registro, l’Agenzia ha poi chiarito quanto segue.

L’utilizzo nel territorio dello Stato italiano di atti pubblici rogati e delle scritture private autenticate in uno Stato estero è subordinato al preventivo deposito dei medesimi presso l’archivio notarile distrettuale o presso un notaio esercente la professione in Italia.

A tal scopo, il notaio, che riceve il documento (i.e., l’atto di scissione redatto all’estero) in deposito, deve redigere apposito verbale soggetto a registrazione ed all’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa, ai sensi dell’articolo 4, Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R n. 131 del 1986[2].

Nella risposta ad interpello n. 157, invece, l’istante è una società di diritto olandese, priva di stabile organizzazione ed identificazione IVA in Italia, che viene incorporata in una società belga, priva di stabile organizzazione ma registrata ai fini IVA in Italia, a seguito di una fusione per incorporazione transfrontaliera in cui sono ricompresi dei beni (pallets e containers di proprietà dell’istante) esistenti nel territorio dello Stato.

L’istante specifica anche che (i) l’attività esercitata dall’incorporante (svolta sia in Belgio sia all’estero per proprio conto e per conto o con la collaborazione di terzi) non sarà in alcun modo modificata a seguito della fusione, (ii) la prospettata operazione straordinaria avverrà, oltre che in ossequio delle norme previste dall’ordinamento olandese e da quello belga, in conformità alle disposizioni previste dalla Direttiva 2005/56/CE sulle fusioni transfrontaliere e che (iii) il diritto civile belga e quello olandese, al pari di quello Italiano, prevedono che, a seguito della fusione, tutte le attività, le passività e i rapporti giuridici facenti attualmente capo all’istante si trasferiranno all’incorporante in virtù della successione a titolo universale prevista dalla normativa unionale, oltre al fatto che anche nella normativa IVA belga ed in quella olandese, come in quella italiana, è stata recepita la facoltà attribuita agli Stati Membri dall’articolo 19, della Direttiva 2006/112/CE di non assoggettare ad IVA per mancanza del presupposto oggettivo i trasferimenti a titolo oneroso o gratuito o sotto forma di conferimento ad una società di una universalità totale o parziale di beni.

In riferimento al trattamento IVA applicabile al passaggio dei beni in Italia in dipendenza della fusione transfrontaliera estera, l’Agenzia delle Entrate si è semplicemente limitata a specificare che, ancorché riferiti a una scissione parziale, i principi espressi con la risposta n. 91 del 2023 sono applicabili anche alla fusione in questione, in quanto entrambe tali tipologie di operazioni sono caratterizzate dalla continuità giuridica e, dunque, sono entrambe ricomprese nell’articolo 2, comma 3, lettera f), del d.P.R. n. 633 del 1972, unitamente alla trasformazione.

Vale la pena considerare come i chiarimenti forniti dall’Agenzia nelle due risposte in commento potrebbero sembrare in contrasto con quanto precedentemente espresso nelle risposte ad interpello n. 536 del 6 agosto 2021 e n. 637 del 30 settembre 2021 dove, nell’ambito di cessioni d’azienda realizzate al di fuori dell’Unione europea, ma con presenza di marchi registrati in Italia (nel primo caso) e magazzino esistente in Italia (nel secondo caso), non è stata riconosciuta la non assoggettabilità ad IVA ai sensi dell’articolo 2, terzo comma, lettera b), del D.P.R n. 633 del 1972 ai trasferimenti dei marchi/beni esistenti in Italia, che sono invece stati considerati rispettivamente come delle autonome prestazioni di servizi e cessioni di beni.

Tuttavia, anche considerando che, nelle due più recenti risposte fornite dall’Agenzia delle Entrate in commento mancano dei riferimenti espliciti ad un eventuale superamento dei chiarimenti forniti con le altre due precedenti risposte sopra richiamate, sembra che i precedenti commenti siano ancora applicabili in virtù di un loro possibile diverso ambito di applicazione.

Tale diverso ambito di applicazione potrebbe essere giustificato dal fatto che nelle precedenti risposte almeno uno dei soggetti partecipanti all’operazione straordinaria era residente in uno Stato non appartenete all’Unione europea[3].

Alternativamente, il diverso trattamento IVA potrebbe dipendere dal tipo di operazione straordinaria. A tal riguardo, è opportuno sottolineare che l’art. 2, comma 3, lettera f), del d.P.R. 633/1972, esclude esplicitamente da IVA i “passaggi di beni” in dipendenza di fusioni, scissioni e trasformazioni. Al contrario, l’articolo 2, comma 3, lettera b), prevede solamente che non sono soggette ad IVA “le cessioni e i conferimenti in società o altri enti, compresi i consorzi e le associazioni o altre organizzazioni, che hanno per oggetto aziende o rami di azienda”[4].

Considerato che le possibili diverse interpretazioni potrebbero portare a significative divergenze di trattamento IVA, sono auspicabili ulteriori chiarimenti da parte dell’Amministrazione finanziaria sul tema.

[1] L’Agenzia, precisa infatti che “A ogni buon fine, si ricorda che in sede di riforma del diritto societario ”Da un punto di vista terminologico, si è ritenuto opportuno in tema di scissione caratterizzare i suoi riflessi sui beni in termini di ”assegnazione” e non di ”trasferimento”. Ciò anche al fine di chiarire, come riconosciuto da giurisprudenza consolidata, che nell’ipotesi di scissione medesima non si applicano le regole peculiari dei trasferimenti dei singoli beni (ad esempio relative alla situazione edilizia degli immobili)” (cfr. Relazione illustrativa al Decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6)”.

[2] Detta previsione recante la tassazione degli atti societari stabilisce al comma 1, lettera b), l’assoggettamento a imposta di registro nella misura fissa di 200 euro della “fusione tra le società, scissione delle stesse (…).

[3] Non è quindi chiaro se si debba giungere a diverse conclusioni a seconda che l’operazione straordinaria avvenga in uno stato dell’Unione europea in cui è stato implementato l’articolo 19 della Direttiva 2006/112/CE, piuttosto che in uno stato dell’Unione europea differente o uno stato non appartenente all’Unione europea, oppure se sia sufficiente che, da un punto di vista civilistico, l’operazione straordinaria effettuata all’estero abbia gli stessi effetti rispetto a quelli attribuibili all’analoga operazione se fosse effettuata in Italia.

[4] Un diverso trattamento ai fini IVA di cessioni di azienda o rami d’azienda, rispetto alle operazioni di fusione, scissione e trasformazione potrebbe però non essere compatibile con il testo del citato art. 19 della Direttiva 2006/112/CE, il cui scopo è quello di conferire agli Stati membri dell’UE la facoltà di prevedere l’irrilevanza, ai fini IVA, delle operazioni straordinarie (fusioni, scissioni, ma anche cessioni e conferimenti di azienda) attraverso cui la società cedente trasferisce alla cessionaria il complesso dei rapporti attivi e passivi di cui ha la titolarità, realizzando una continuità dell’attività aziendale presso il beneficiario / ricevente il complesso aziendale.

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