Donne più istruite meno occupate: il paradosso italiano nella lunga corsa alla parità di genere
Nonostante i progressi in istruzione e rappresentanza, il divario tra uomini e donne nel lavoro resta profondo. Stereotipi culturali, scarsi servizi di cura e rigidità strutturali continuano a frenare il potenziale femminile.
Negli ultimi dieci anni in Europa si sono registrati progressi significativi verso la parità di genere. Il divario salariale tra uomini e donne si è ridotto dal 15,7% del 2014 al 12% del 2023, mentre il tasso di occupazione femminile è salito dal 62% al 70,8%. Le donne hanno raggiunto livelli di istruzione più elevati rispetto agli uomini, superandoli di oltre sei punti percentuali tra i laureati, e la presenza femminile ai vertici delle grandi aziende europee è quasi raddoppiata, passando dal 4,3% al 9% nel decennio.
Anche in Italia si osserva un miglioramento, sebbene più lento: il tasso di occupazione femminile è cresciuto dal 50,5% al 57,4% e la quota di donne in ruoli dirigenziali nelle società quotate è salita dall’8,3% al 18,9%, grazie soprattutto alla Legge Golfo-Mosca. Le donne sono inoltre più istruite degli uomini e la loro presenza nei percorsi di studio tecnico-scientifici è in aumento.
Nonostante questi progressi, il divario occupazionale resta marcato: tra i 25 e i 64 anni le donne occupate sono circa 9,5 milioni, contro oltre 12,5 milioni di uomini, pur a fronte di una popolazione complessiva quasi identica. Più di una donna su tre non lavora, principalmente per motivi legati alla cura familiare, una condizione che colpisce in particolare le donne con un basso livello d’istruzione o con figli. Anche a parità di studi e competenze, le donne continuano a guadagnare meno e ad accedere con maggiore difficoltà a settori e posizioni meglio retribuiti, a causa di una persistente segregazione tra settori “femminili” a bassa redditività e settori “maschili” più remunerativi.
Le differenze emergono già a scuola: nei test INVALSI 2024 le bambine ottengono risultati migliori in italiano ma peggiori in matematica, e in Italia questo divario è più che doppio rispetto alla media OCSE. Ciò suggerisce che fattori sociali e culturali, come stereotipi e modelli educativi, influenzano profondamente la percezione delle proprie capacità e le scelte formative. Le ragazze, infatti, mostrano meno fiducia nelle proprie abilità scientifiche e aspirano con minore frequenza a carriere in ambito tecnico o ingegneristico. Anche i metodi di insegnamento tradizionali, basati su lezioni frontali e trasmissione passiva, sembrano ampliare il divario di genere, mentre approcci più interattivi e orientati al problem solving lo riducono.
Nel complesso, nonostante il quadro formale di pari opportunità, persistono ostacoli sostanziali che limitano l’accesso equilibrato delle donne al lavoro e alla crescita professionale. La disparità di genere continua a rappresentare un freno per l’economia e per lo sviluppo del Paese, poiché riduce il potenziale di talento e innovazione. Per colmare il divario servono politiche strutturali e culturali: maggiori servizi per l’infanzia e la cura familiare, congedi parentali più equi e flessibili, infrastrutture che riducano i tempi di spostamento e un impegno delle imprese verso modelli di lavoro inclusivi e flessibili. La parità di genere, oltre a essere una questione di giustizia sociale, è una condizione indispensabile per una crescita economica sostenibile e duratura.
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